Mentre a Tunisi è in corso una resa dei conti all’interno degli apparati di sicurezza, responsabili di errori, sottovalutazioni e persino connivenze nell’attacco al Museo del Bardo, «Terra!» ha messo le mani su un documento sconvolgente: il racconto dell’operazione terrorista, proveniente dall’interno, scritto da un complice del commando. Forse, addirittura da uno dei terroristi che hanno partecipato all’azione e sono sfuggiti all’arresto.

Rintracciato in rete, il documento è pubblico, e ha lo scopo, oltre che di celebrare l’attacco, di dimostrare a jihadisti simpatizzanti, incerti o apprendisti, ai cosiddetti “lupi solitari”, quanto sia facile compiere un attacco. È, esplicitamente, un invito all’emulazione: si racconta, ad esempio, come il commando si sia procurato le armi a buon mercato. Ma quello che colpisce, in un documento che contiene anche, inevitabilmente, le solite citazioni coraniche, è lo stile diaristico, che trasforma in una quieta confessione gli ultimi minuti di vita di decine di innocenti».

Comincia così, il diario: «È una normale giornata di sole, c’è un bel clima, piacevole e temperato. Loro due escono di casa, prendono la metro, scendono e cambiano treno, scendono di nuovo, passano davanti alla centrale della polizia infedele del Bardo e davanti alla sede dei servizi segreti militari del Tiranno... si siedono un momento... lasciano la borsa con dentro le armi e le bombe a mano alla fermata dell’autobus, vanno a controllare il posto, tornano a riprendere le borse e si infiltrano dentro il parco del parlamento/museo, uno dei due tira fuori le armi e le bombe a mano mentre l’altro fa un rapido giro di ricognizione».

Quello che segue è il racconto di come i poliziotti e la guardia presidenziale siano rimasti sorpresi, riuscendo comunque a respingere il tentativo di assaltare il Parlamento e obbligandoli così a cambiare piano: decidono di ammazzare chiunque si trovi nel Museo «poliziotti, apostati o stranieri». Lanciano le bombe contro gli autobus, catturano ogni «infedele fondamentalista» e lo portano in una stanza mentre«lasciano scappare gli inservienti tunisini: sono musulmani ed è un peccato spargere il loro sangue». Aggiunge, il diario, «che tra gli infedeli vengono risparmiati i bambini, che vengono lasciati andare verso l’uscita».

A seguire il racconto un bilancio degli obiettivi raggiunti (nel testo una tabella con il crollo della Borsa di Tunisi, presentato come un trofeo), l'invito a colpire ancora. Vengono esplicitamente citati tra gli obiettivi i turisti (anche se non si parla di italiani, ma di americani, britannici e francesi).

Lunedì 23 marzo, in seconda serata, su Retequattro, a «Terra!», il settimanale di Toni Capuozzo, il racconto per intero dell’attacco visto da un terrorista.

In un villaggio tra le montagne a ridosso del confine con l'Algeria, le inviate del programma Sabina Fedeli e Anna Migotto hanno incontrato la famiglia di Jabeur Khachnaoui, il più giovane dei due terroristi del Bardo. Una famiglia di agricoltori, distrutta dal dolore e dalla vergogna:«Era un ragazzo intelligente, bravo. Questo è il regalo che ci ha fatto la rivoluzione», dice il padre, riferendosi all'instabilità seguita alla caduta del regime di Ben Alì, e alla scomparsa del figlio diciannovenne, dopo un brillante primo trimestre all'ultimo anno di liceo.

Nel reportage dalla Tunisia del dopo-Bardo, viene riproposto il profilo di Neji Ben Amara, il tunisino che lavorava a Milano e da qui è partito per lo Stato Islamico, finendo ucciso da una cecchina curda. Sabina Fedeli e Anna Migotto ne hanno rintracciato la sorella Monja, nel quartiere della capitale  dove i giovani partiti per la jihad sono decine, e dove si racconta che Ben Amara sia morto sotto le bombe giordane (la morte per mano di una donna lo escluderebbe dal paradiso dei jihadisti…). A concludere, l’inchiesta di Brescia, dove un pakistano è stato arrestato ed espulso per connivenze con la rete jihadista.