NAPOLI. «Vincenzo Cutolo si occupa del settore droga, quello che gli interessa di più anche perché ama la bella vita. Non partecipa alle azioni di fuoco ed è contrario. Nondimeno avevamo il suo accordo». È preciso il profilo di Vincenzo Cutolo, capoclan del gruppo omonimo del Rione Traiano dopo l’arresto del padre Salvatore detto “Borotalco”, tracciato dal pentito Gennaro Carra. Anche quest’ultimo occupava prima di pentirsi un ruolo di vertice e proprio la sua collaborazione con la giustizia è stata decisiva per l’inchiesta che in due fasi ha inferto un durissimo colpo all’organizzazione della “44”. Secondo “Genni” Carra dunque, “Enzo” Cutolo prima di essere arrestato è stato un ras in giacca e cravatta che a stento sopportava le vicende cruente. Dava l’okay se proprio necessario per interessi del clan, ma non partecipava direttamente ad azioni di fuoco. «Vincenzo Cutolo partecipava alle riunioni con gli altri clan per prendere le decisioni. Tutte le sere gli facevo rapporto circa l’aspetto criminale del clan, come ad esempio le “stese” che decidevo di fare d’iniziativa con Francesco Pietroluongo. Per gli affari di droga era già a conoscenza, in quanto li gestiva lui. Si occupava dello scarico, in particolare dello “spaccato”, nel senso che preparava le quantità da destinare”. Gennaro Carra nel corso dello stesso interrogatorio ha continuato sull’argomento summit. «Ha partecipato (riferendosi sempre a Vincenzo Cutolo, ndr) a riunioni con Salvatore Barile per i Mazzarella, con Salvatore Maggio che aveva creato un gruppo autonomo con Savio sembianza, con salvatore Romano detto “Muoll muoll” che veniva per conto dei Mele. Ricordo un incontro a Marechiaro in cui presentai Salvatore Di Lauro a Vincenzo Cutolo. C’era pure Peppe Mazzaccaro. Io volevo far rifornire Peppe Mazzaccaro dai Di Lauro, ma non trovammo un accordo». Carra ha anche parlato di un altro importante capoclan dell’area flegrea, Antonio Calone, ras pure di Posillipo. «Tonino Calone quando uscì dal carcere, nel 3013, venne a casa mia e mi spiegò che aveva difficoltà economiche. A quel punto decisi di affiliarlo al clan Cutolo e gli ho corrisposto la somma di 300mila euro al mese. La mia intenzione era di avere a fianco un personaggio di spicco dell’area flegrea che potesse sostituirmi in caso di arresto». «Infatti - ha continuato Carra, nel periodo in cui sono stato detenuto da febbraio 2017 fino al 25 maggio 2018, essendo stato scarcerato con obbligo di dimora fuori regione, il comando del clan fu assunto da Antonio Calone e da Francesco Pietroluongo detto “’o checco” con risultati pessimi. Calone aveva contratto diversi debiti per droga, avendo acquistato cocaina senza pagarla. Passava più tempo con noi al Rione Traiano, dov’è stato anche controllato due volte, avendo il “libretto rosso”, che a Posillipo».

Il capoclan Vincenzo Cutolo e il pentito Gennaro Carra