di Fabio Postiglione

NAPOLI. C’era una regola non scritta nella camorra che aveva codici quasi inviolabili. Una di queste regole era quella di rispettare i morti, da qualunque parte si trovassero. Ma già durante la faida di camorra di Scampia e Secondigliano ci furono avvisaglie che qualcosa stava cambiando. Diventarono certezze quando i killer assetati di sangue fecero scempio di cadaveri, giocando a calcio con teste mozzate, tagliando corpi a pezzi. Ma quando si trattava di personaggi di spessore criminale c’era una sorta di implicita riverenza. Ecco perché nessuno nel quartiere del Cavone si aspettava che alla famiglia Lepre qualcuno potesse rendergli uno schiaffo in pieno volto. Il boss Ciro soprannominato “’o sceriffo” è morto la scorsa settimana dopo una lunga malattia e una battaglia condotta in primis dai suoi familiari che speravano in cure più dignitose per il proprio congiunto che stava scontando una pena per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Aveva avuto una ischemia cardiaca e non si era più ripreso. Poi gli arresti domiciliari e la morte nel suo appartamento al Cavone, nel budello di Napoli. Una strada che da via Salvator Rosa arriva in piazza Dante. Funerali in forma privata direttamente al quadrato del cimitero di Poggioreale. La famiglia e la ditta funebre che si era occupata del trasporto della salma al cimitero aveva affisso, come si fa in qualunque parte della città, i manifesti funebri di Lepre, annunciando il lutto di tutta la sua famiglia. Sono rimasti affissi su quel muro una sola nottata.

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