Emozioni al museo: "Pompei e l'Europa"
La mostra all'Archeologico documenta un rapporto lungo due secoli tra gli artisti europei e la città vesuviana
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Gio 28 Mag 2015 19:32
Tutto il fascino di Pompei, la città che visse due volte: da metropoli formicolante, nel I secolo; e come luogo di rovine nel diciottesimo secolo. Ed è di questa seconda vita che si occupa la mostra in corso al Museo Archeologico Nazionale dove resterà fino al 2 novembre.
“Pompei e l’Europa. 1748 - 1943”, curata da Massimo Osanna, Maria Teresa Caracciolo e Luigi Gallo, rientra nelle mostre programmate per il Grande Progetto Pompei cofinanziato dall’Unione Europea. «Oltre che provvedere agli interventi strutturali di messa in sicurezza delle domus - spiega il soprintendente Massimo Osanna - il progetto promuove un piano della conoscenza, della fruizione e della comunicazione: oltre a questa, in pendant con la mostra, inaugurata a Pompei ieri l’altro, dei venti calchi appena restaurati, vedremo l’Iseion, il tempio di Iside, arricchito con copie degli arredi originali e lo stesso si farà per i giardini di alcune domus. L’obiettivo è quello dare ai visitatori un’idea precisa della vita che si svolgeva a Pompei».
Nella stessa logica si muove la mostra all’Archeologico: più che l’aspetto filologico degli oggetti esposti, qui viene presentata la percezione che di essi si ebbe nell’arco di tempo che va dai primi ritrovamenti, nel 1748 al bombardamento che, nel 1943 colpì duramente le città vesuviane.
Circa duecento oggetti, fra dipinti, disegni, fotografie, sculture e reperti a documentare due secoli di suggestioni, emozioni, condizionamenti visivi e non solo, che furono determinanti per tutta la cultura europea.
Basti pensare che se ai primi del Settecento gli illuministi si facevano un punto d’onore nel guardare al progresso senza voltarsi indietro, alla fine del secolo il Neoclassicismo imperava non solo nella produzione artistica ma anche negli abiti, nell’arredamento, nello stile di vita.
Via via che emergeva dalla cenere dunque, Pompei risorgeva a nuova vita, ispirando pittori e scultori, architetti e artigiani, sarti e parrucchieri.
E se le danzatrici dipinte da Canova (foto a sinistra) sembrano proprio un’imitazione delle menadi pompeiane (foto a destra), anche l’abbigliamento e la pettinatura di Lady Hamilton, ritratta mentre balla la tarantella nel suo appartamento di Palazzo Sessa, rimanda decisamente alla leggiadria di quegli affreschi a sfondo nero.
Sulla scia delle istanze romantiche, il gusto neoclassico divenne poi superato, ma l’interesse per le rovine conobbe una nuova linfa: il “Viaggio in Italia” di Goethe rende bene l’idea della nuova percezione che dell’antico ebbe l’Ottocento.
Da quando, nel decennio francese, Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat avevano dato un impulso enorme agli scavi, la città sepolta emergeva in tutta la sua imponenza: il foro viene ritratto in ogni prospettiva da pittori francesi e tedeschi che fanno della città un topos del loro grand tour di formazione. E lo stesso accadeva per gli architetti per i quali, i rilievi degli edifici pompeiani costituivano parte integrante dell’esame finale.
“Torna al celeste raggio, dopo l’antica oblivio l’estinta Pompei” canta Leopardi nella “Ginestra”: il poeta ne fa la metafora del destino umano. Un approccio tutto romantico, questo, che contrappone la grandiosità delle forze della natura alla sofferenza dell’uomo indifeso, che trova un solido contrappunto visivo nelle gouaches “infuocate” di Félix Auvray e Frédéric-Henri Schopin.
Mentre, sul finire dell’Ottocento, le esigenze del realismo, spingono Morelli e i suoi allievi a immaginare squarci di vita quotidiana: il bagno pompeiano del pittore napoletano rimane un capolavoro assoluto. È una Pompei più domestica, invece, quella dell’inglese Alma-Tadema, decisamente non aulica.
Il Novecento vede ancora gli artisti arrivare a Pompei. ma diverse sono le reazioni: la pietra scabra del “Bevitore” di Arturo Martini riprende le movenze del calco di giovane donna; mentre Picasso respira l’aria mediterranea e la trasforna in una tela tinta di azzurri luminosi e rotondità primordiali.
Un percorso suggestivo che si snoda lungo la Sala della Meridiana, trasformata per l’occasione in labirinto emozionale dall’architetto Francesco Venezia. Una scelta coraggiosa, che allontana la conoscenza dall’erudizione e la coniuga con la sorpresa e lo stupore. Un atto d’amore per Pompei. Complici, sicuramente, quegli amorini che sgambettano inquieti in braccio a Venere.
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