di Giuliana Gargiulo

Instancabile nel moltiplicarsi, Alessandro Gassmann non è solo l’attore versatile capace di spaziare dalla commedia al dramma ma un regista teatrale e cinematografico che utilizza il suo talento come ricerca verso nuovi modi di espressione ed esperienze sempre più alte. Con un debutto iniziato a teatro in “Affabulazione” di Pasolini, diretto dal grande padre Vittorio, e cinematografico con un intuitivo Ferzan Ozpetek, che lo volle nel suo primo film “Il bagno turco”, l’attore nato a Roma da Vittorio Gassmann e Juliette Manyel, ha fatto della città il suo “ luogo dell’anima”, spesso coraggiosamente difesa per indecenti mancanze e degrado evidenti. Alla vigilia della seconda serie de “I bastardi di Pizzofalcone" (ieri sera è andata in onda la prima puntata, ndr) tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni, nella scorsa stagione fiction campione di ascolto, nel sorriso che affiora rapido e gli occhi che si stringono a fessura, l’attore/regista ha modi e cortesia tanto unici da essere indimenticabili. Bella storia la sua, artista versatile - da vent’anni sposato con la stessa donna amata e un figlio bravissimo nello studio -, senza quelle turbolenze di tanti figli di, stimato per il suo valore, che ha stile e gentilezza spesso dimenticati da tanti artisti e non. Grazie Alessandro.
Togliamoci subito il pensiero: quanto ha pesato o è stata presente la figura del  grande padre Vittorio?
«Un amore forte e intenso e un insegnamento continuo, un esempio da seguire, un papà da amare».
Dopo una quantità di film, la recente regia del film “Il premio”, che ricordando in alcuni passaggi suo padre, ha avuto Gigi Proietti in un’ interpretazione che non si dimentica, che cosa è stato realmente difficile? Quali gli intoppi o i bastoni tra le ruote in un mondo come quello dello spettacolo che non fa sconti a nessuno?
«Credo sia stato in qualche modo difficile capire di poter anche far ridere e questo accadde quando Pino Quartullo mi chiamò per interpretare il film “Quando eravamo repressi”. Non solo in un piccolo film feci ridere ma da quel momento la mia carriera è cambiata e ho capito che il dramma, la commozione può nascere anche da un sorriso e da una commedia. Da quel momento ne ho fatte tante».
Dopo “Razza bastarda” e tanto teatro, con “Il premio” ha dato, sia nella narrazione che  nella resa degli attori, un esempio di grande rigore registico. Attore di cinema e di teatro, regista e anche autore: ha predilezioni per una delle sue tante versatilità?
«Mi piace molto in teatro, ancor più che recitare, fare la regia e credo che dopo averne firmate dieci di spettacoli di prosa, posso veramente dirlo. Come attore, qualche volta, mi è capitato di distrarmi in scena, in qualche caso dimenticando le battute, mentre mi venivano idee sulla regia… Allora ho pensato che era il momento che avrei potuto provare a farla! Con la mia prima regia vinsi il Premio Ubu  per “ La forza dell’abitudine” di Thomas Bernard, un autore che adoro e che mi ha fatto ridere, ma in maniera leggera, anche in spettacoli crudeli. Credo che anche per questo proposi il testo comico-grottesco nel quale interpretavo un uomo di ottanta anni! Da allora ho fatto undici regie di spettacoli, sommando in qualche modo teatralmente due percorsi: uno dedicato a Bernard e l’altro a spettacoli sociali».
C’è una ragione in questo interesse di dirigere spettacoli sociali?
«Grazie ai miei genitori, che mi hanno sempre insegnato l’attenzione per i più deboli e per quanti hanno meno voce in capitolo! Per questo vado e continuerò ad andare in quella direzione».
I suoi prossimi rogrammi legati al teatro?
«Con il Teatro Bellini, con il quale ho già collaborato, affronterò “Fronte del porto” e a gennaio “Il silenzio grande” di Maurizio Di Giovanni, con Massimiliano Gallo, prodotto dal Teatro Diana».
Per il secondo anno, e per un gran numero di mesi, è vissuto a Napoli per girare la prima e la seconda serie della fiction” I bastardi di Pizzofalcone” tratto dai romanzi di Maurizio Di Giovanni.  Come si è trovato e che cosa ha rappresentato per lei romano una città come Napoli?
«La conoscevo poco e soltanto attraverso i soggiorni legati al mio teatro, ma aver girato “  bastardi”per tanti mesi, sia l’anno scorso che quest’anno mi ha dato la possibilità di viverla e… me ne sono innamorato! Credo che Napoli sia la capitale culturale di questo paese e poi sono andato anche a girare a Sorrento …come mi è piaciuta! Tutto questo ha certamente a che fare con la sua popolazione! Che reagisce meglio di altre alla crisi e alle difficoltà».
Lei dimostra una forza nelle sue scelte che è anche coraggio. Vuole dirmi da dove prende tutto questo?
«Da una certa inconsapevolezza e a quanto altro devo sempre ai miei genitori. E poi alla mia indole che mi fa dire sempre quello che penso».
Si considera ottimista?
«In un paese come il nostro in cui prevale la falsità e la bugia è imperante, alla fine arriverà un miglioramento. Sono ottimista e detesto chi si piange addosso».
E cos’altro è?
«Sono romanista».
Se ha un incontro da ricordare: qual è?
«Ne ho due: Vanessa Redgrave, eccezionale benefattrice, e poi Peter Fonda, come e me e Alessandro D’Alatri, regista dei Bastardi, è nato il 24 febbraio. E’ di origini italiane del  Veneto e  mi ha insegnato tante cose».
Si considera ambizioso?
«Non sono particolarmente ambizioso e in linea di massima mi occupo del presente. L’ insegnamento fondamentale me l’ ha fatto papà che ogni mattina in maniera ossessiva ripeteva. “Quanto sono fortunato nella vita!”».
Paure ne ha mai avute o vissute?
«No, da personaggio pubblico che adopera anche twitter, dico sempre quello che penso anche se da un po’ di tempo sono più cauto».
Chi conta di più nella sua vita e cosa le piace al di là del lavoro?
«Contano e amo stare con mio figlio Leo e mia moglie Sabina e mi piace la natura».
Ha un augurio per chi e qual è?
«Auguro a mio figlio Leo che… diventi primo ministro».
Per chiudere vuole dirmi: che cos’è Napoli per lei?
«L’istinto».