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Amministrative, spettacolo deprimente e miserevole

Opinionista: 

Ci sono dei fenomeni che riescono a far bene sentire il polso di una Comunità, mostrando i principi che l’orientano, i valori in cui crede, il modo in cui cura i propri interessi ed edifica le sue istituzioni. Di certo, le elezioni per un sistema politico a base democratica sono un momento topico: in breve, legittimano il potere di chi tiene le redini della collettività, stabilendo quali siano gli obiettivi da perseguire e come farlo distribuendo opportunamente le risorse pubbliche. L’esperienza delle ultime amministrative in Campania, ma non solo in Campania, ha offerto uno spettacolo deprimente e miserevole. Per la sola fase della presentazione delle liste elettorali sono già stati proposti circa un’ottantina di ricorsi dinanzi alla sola sezione di Napoli del Tar per la Campania. Un’ottantina di ricorsi che hanno avuto ad oggetto altrettante esclusioni di liste e candidati, per i motivi più singolari: dall’autentica di firma alla quale mancava un timbro, a quella consegnata con il presunto ritardo di qualche minuto, a quella, ancora, autenticata da un pubblico ufficiale di altro Comune, all’uso del modulo non appropriato, a problemi di residenza di candidati e via dicendo. Queste ed altre amenità hanno investito commissioni e sottocommissioni elettorali, Tar e Consiglio di Stato. Schiere di avvocati e drappelli di giudici hanno impiegato e stanno impiegando non poco del proprio tempo per dirimere questioni cavillose ed inconcludenti, frutto d’insignificanti formalità, assurde tanto da far impallidire anche il più intemerato degli azzeccagarbugli. Di tutto quello che interessa la qualità delle candidature, il modo in cui sono state selezionate, i percorsi che hanno condotto alle scelte, ovviamente in nessuna visibile sede s’è parlato, discusso, verificato. L’organizzazione è totalmente assorbita da aspetti per la gran parte completamente irrilevanti, irrilevanti non solo per ciò che riguarda la qualità dei candidati, ma anche per le garanzie di trasparenza e legalità delle procedure: insomma, formalismi che in un qualsiasi paese civile non sarebbero presi in considerazione, da noi si trasformano nel cuore del problema ed assorbono interamente l’interesse delle istituzioni producendo una massa abnorme d’inservibili scartoffie. È noto che le elezioni primarie negli Stati Uniti d’America – quelle chiamate a scegliere, non il consigliere comunale d’un paesello di cinquemila abitanti, bensì il candidato alla presidenza della più grande e duratura democrazia repubblicana del mondo – si svolgono nella più dinamica informalità. In molti Stati l’organizzazione è rimessa ai caucuses, vale a dire a riunioni pubbliche in cui gli elettori dei diversi partiti esprimono le loro preferenze, pubblicamente riunendosi in gruppi; e comunque in molti casi sono circoli privati a sostenere il peso dello svolgimento di queste consultazioni. Ora, è chiaro che ogni luogo ha le sue regole e tradizioni e che queste forme di gestione da noi possano suonare strane e lasciare sospettosi; ma è altrettanto chiaro che una tale gragnuola di contenziosi, ai quali non è rimasto estraneo nemmeno il giudice penale, prim’ancora che venga riposta nell’urna una sola scheda, è il segno d’una disfunzione grave ed anzi intollerabile per uno Stato moderno ed ispirato a valori sostanziali ed all’efficienza. Quel che poi davvero sorprende è che una simile rete di regole e garanzie tanto fitta da sviluppare una mole palesemente abnorme di ricorsi non serva in alcun modo a selezionare non solo qualitativamente – manco a dirlo – i candidati, ma nemmeno quantitativamente. S’è letto di circa 8.000 candidati al consiglio comunale: un consiglio che, com’è noto ha 48 componenti, che non sono pochi per la verità; ma questo significa che riesce ad attrarre ben 166 concorrenti per ciascuna delle sue desideratissime seggiole. Un numero abnorme d’aspiranti cui s’accompagna un numero altrettanto esagerato di distinte liste, creando così sulla scheda elettorale, sempre più simile ad un variopinto lenzuolino da culletta, una grafica intricata e confusionaria, nella quale anche l’elettore dotato di buona istruzione ed invidiabile visus ha non poca difficoltà ad identificare il luogo dove segnare il partito del cuore ed inscrivere il nome del suo prode paladino. In sintesi, la solita gran baracca: infinita burocrazia, forme a volontà, cavilli e lacciuoli a profusione, scontri, polemiche, liti, ma niente sostanza. Quel che dovrebbe contare non ha cittadinanza alcuna per farsi valere e così, dopo aver sprecato un gran tempo, il risultato finale sarà una selezione inconcludente e squalificata che non consentirà scelte appropriate e che porterà alla vittoria chi, più o meno per caso o per capacità distinte ma non virtuose, riuscirà a tirarsi fuori dalla grigia e massa degli infiniti concorrenti.