Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Con un Governo così l’Italia va in frantumi

Opinionista: 

Il buon senso, quello che porta per mano la “ragion pratica”, dovrebbe far ricordare un metodo di comportamento non eludibile: prima di stabilire di che “cosa” si vuole ragionare, è meglio stabilire “come” e “dove” sia opportuno farlo. Sulle autonomie potenziate o differenziate, sembra completamente smarrita la dantesca “dritta via”. Tre regioni, da una parte, nel ruolo di mosche cocchiere; alcune che preferiscono stare alla finestra per poi, come direbbe Ennio Flaiano, “andare in soccorso dei vincitori”; altre, le meridionali, che si svegliano in ritardo e, come è “naturale” che accada, fanno la voce più grossa e gonfiano i polmoni minacciando sfracelli. In questo modo pensano di recuperare il tempo perduto e di conquistare spazi propri (patetica illusione se ci si fa avanti quando tutto quello che c’era da “spartire” è stato tranquillamente già spartito). *** LA CONFERENZA DELLE REGIONI. Di cosa avrebbero dovuto, e ancora dovrebbero, discutere se non di uno stretto collegamento tra loro per valutare le “migliori pratiche” da mettere in campo, sempre per rendere più competitivo e producente il confronto con lo Stato? Oggi l’offensiva contestatrice parte proprio dalle regioni che nell’ambito della Conferenza (nata nel 1981 a Pomezia) hanno esercitato una sorta di predominio. Finora 37 i presidenti (comunista il primo, Lanfranco Turci dell’Emilia Romagna; del Partito democratico quello in carica, Stefano Buccini, anche lui emiliano romagnolo). Nell’avvicendarsi al vertice, meno di una decina i presidenti meridionali (due, per breve tempo, i campani: Ferdinando Clemente di San Luca e Giovanni Grasso). Di chi la responsabilità se questa sede, simbolo di democrazia, non ha dato i risultati che si potevano ottenere? Un po’ di autocritica farebbe comprendere meglio la situazione lacerante che il Paese si trova a vivere oggi. *** BOZZE SEGRETE. Il pensiero che unisce le 3 regioni del Nord è sicuramente quello di ridimensionare e svuotare i Ministeri (ricordiamo la “Roma ladrona” di bossiana memoria quando si brandiva lo spadone della devolution?). Ma ciascuna ha un’idea tutta propria dei pezzi di Stato che vuole portarsi a casa e chiuderseli a chiave, nel senso che intende gestirseli come vuole, senza controlli e rendiconti. Formalmente il percorso rivendicativo ha preso avvio 5 mesi fa col Governo Gentiloni (“ma io non l’avrei mai permesso”, si dissocia ora Matteo Renzi). Come le “carte sparse” della Sibilla Cumana, le varie richieste prendono la via della Capitale, ma a Palazzo Chigi non si sa quando il Consiglio dei ministri ne incomincerà l’esame: prima o dopo le elezioni europee di fine maggio? I due vice premier ragionano non secondo validità e compatibilità delle richieste, ma secondo le proprie convenienze elettoralistiche: Salvini “prima” perché così si assicura più voti al Nord; Di Maio “dopo” perché le Europee sono precedute dal voto in Sardegna e avverte il rischio di un nuovo “tonfo abruzzese”. *** IL NORD PIÙ AVANTI. Sì, lo è anche quando si tratta di disgregare lo Stato. “In primavera fine dell’Italia come comunità nazionale?”, si chiede Mauro Calise per il quale sono almeno vent’anni che le politiche nazionali accentuano il divario che, ricorda a sua volta Isaia Sales, se prima scaturiva dalla geografia e dalla storia, adesso - con queste autonomie selvagge - verrebbe sancito per legge. Sempre in primo piano i 2 vice premier. Salvini: “Tutti i territori, anche quelli meridionali, se ne avvantaggeranno” (è il caso di ricordare il virgiliano “timeo Danaos et dona ferentes?”). Di Maio: autonomia sì, ma a patto che… (si penserebbe subito: a patto che non intacchi l’unità nazionale; no, a patto che passi il reddito di cittadinanza). Ecco il machiavellico “fine che giustifica i mezzi” ma in salsa stracciona, perché ci sono mezzi usando i quali si squalifica anche il fine… *** SVEGLIA RITARDATARIA. È quella che all’improvviso è rintronata nella testa di Vincenzo De Luca, presidente- governatore della Campania. Al primo squillo un balzo dal letto (quanto ci potrà “campare” l’inimitabile Crozza!). Il tono è guerresco: per bloccare il progetto separatista siamo pronti a tutto, fino alla lotta sociale; sveglieremo le coscienze di tutto il Sud, sarà un nuovo Risorgimento! (non gli passi per la testa, per carità, la “rivoluzione “ tentata da Carlo Pisacane: sappiamo come è finita!). Domanda: ma tutto il Sud è pronto? Sembrerebbe di no, visto che un altro schieramento politico, in testa Stefano Caldoro, propone un referendum per la “Macroregione del Sud” fatta da 8 regioni che non si sono mai nemmeno parlate. Sa tanto di “Regno delle due Sicilie” (pensiamo: “due Sicilie”; oggi ne abbiamo una, ci basta e ci avanza!). *** GOVERNO DORMIENTE. Ma non è il “sonno dei giusti”. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non si è ancora ripreso dallo shock di Strasburgo dove l’hanno definito, con poco riguardo, un burattino nelle mani di Salvini e Di Maio. Tesi sostenuta: continuerebbe con lui la degenerazione politica cominciata 20 anni fa con Silvio Berlusconi. Ai denigratori il premier italiano ha replicato con un filo di voce: voi obbedite alle lobby. Governo tuttavia oggettivamente debole (isolato in Europa e per certi aspetti nel mondo) proprio quando occorrono fermezza e capacità di guida per evitare che il sonno della “ragione” (o delle “regioni?”) produca mostri dalle conseguenze devastanti e difficilmente riparabili.