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De Luca e il mancato rispetto delle regole

Opinionista: 

Che in Italia il senso delle istituzioni difetti ad ogni livello, è constatazione confermata dalle quotidiane condotte di chi questo senso dovrebbe alimentare e custodire con zelo. La comune ed unanime strumentalizzazione delle posizioni occupate nello Stato è un dato a tal punto scontato che nemmeno fa più specie, lo diamo per acquisito. Dal più modesto vigile urbano alle più alte cariche, tutti ritengono di poter agire come si trattasse di cosa propria e non di funzioni regolate ed assegnate nell’interesse generale. E così Vincenzo De Luca ha avuto buon gioco a ridicolizzare l’attenzione manifestata nei suoi confronti dalla Commissione antimafia. Che niente di meno ha ritenuto d’incomodarsi e di richiedere la registrazione – godibile su decine di siti web – dell’ormai famosa adunata dell’hotel Ramada, per valutare se ricorressero profili di suo interesse. E così, dallo squallore di quella riunione s’è passati al ridicolo nazionale, da una vicenda che avrebbe dovuto istruire e far riflettere sui modi e sulle forme della politica campana, e non solo campana, s’è rilanciato e si sono fornite ulteriori istruzioni su quanto poco sia avvertita l’esigenza di tenere alte istituzioni fuori dalle mene della politica politicante. E di lì, di volgarità in volgarità, la cosa è finita, come dicono a Roma, in caciara. Tutto questo è il segno d’un degrado generalizzato, dal quale non sarà semplice riprendersi. Don Vincenzo De Luca è uomo intelligente e sa voltar le cose in suo vantaggio, anche quando oggettivamente ci sarebbe proprio alcunché di cui sorridere. È davvero singolare che il nostro Presidente – sì, il Presidente della Regione Campania, la più alta autorità politica del territorio – non si ponga un’elementare domanda: come mai quella sua amena riunioncina ha suscitato tante reazioni? S’è trattato solo di strumentalizzazione politica – quella c’è stata, naturalmente, insieme alla strumentalizzazione dell’Antimafia – o forse non c’era anche una qualche sostanza. Quella convocazione di qualche centinaio d’amministratori locali, piuttosto che un’adunanza d’uomini pubblici, aveva i toni dell’assise di signori feudali, chiamati a rapporto dal Sovrano territoriale. Quello iattante rivolgersi loro, quella chiamata a rapporto, quell’invito ad usare modi spicci ma efficaci per raggiungere il risultato; quella sovrana indifferenza per il rispetto delle regole e dei valori in gioco, quell’intender gli elettori qual gregge barbato da guidare verso mete ad esso ignote, magari allettandolo con prelibati foraggi; insomma, quel sovrano sprezzo d’ogni forma pubblica e di rispetto, animato dalla filosofica visione del do ut des, tutto ciò è qualcosa di culturalmente assai grave, soprattutto perché del tutto inavvertito se non anche vantato, senza un’ombra d’un ravvedimento, senza avvertire minimamente la gravità di quanto è accaduto. Vincenzo de Luca non sembrerebbe aver compreso cosa voglia dire essere Presidente della Regione Campania o, forse, ed è ancor peggio, l’ha compreso molto bene. Ma io credo che non l’abbia compreso. Se anche la logica dello scambio gretto ha il suo spazio, chi avesse a cuore le sorti della Campania non dovrebbe alimentarla, farne una bandiera garrente. Perché quella logica e premoderna rozza è ciò che ci mantiene nella condizione di minorità e generale disprezzo dai quali De Luca pur dovrebbe mirare a tirarci fuori. Piuttosto che buttarla nel ridicolo, il nostro Presidente dovrebbe domandarsi se è solo ipocrisia ad alimentare le (continue) critiche nelle quali incorre o se forse non ci fosse anche qualcosa di serio in ciò che gli viene contestato. Dovrebbe chiedersi se è consentito impunemente ad un Presidente di Giunta regionale di convocare assise feudali ed impartire simil maniera istruzioni; se risponde ad un corretto modo d’impostare le cose per lui, massima carica pubblica della Regione, manifestare la più completa indifferenza per i contenuti della riforma costituzionale ed associarla ad allettanti pietanze. Dovrebbe forse comprendere che nello spazio pubblico – che è spazio altamente simbolico ed anche illusorio – le forme son gran parte della sostanza; ed un capo politico ci mette poco a somigliare ad un gangster se non sta accorto. E, soprattutto, dovrebbe dar l’esempio del rispetto delle regole perché, in fin dei conti, sono quelle grazie alle quali se egli impartisce una disposizione, l’intera macchina amministrativa si mette (o dovrebbe mettersi) in moto per eseguirle. E se si dimostra troppo di quali miserie è fatta la politica, non è facile poi stabilire il do ut des sino a che punto si chieda che arrivi.