Deprime lo scisma tra politica e cultura
Non vorremmo essere etichettati - anche se, forse, lo siamo - come lodatori del tempo passato. Ma lo spettacolo, mortificante e degradante, al quale la politica ci ha fatto assistere, soprattutto in questi ultimi mesi, non può non indurci a volgere lo sguardo all'indietro. A procurarci ulteriore avvilimento, contribuiscono non poco, con le loro piroette, quei mestieranti assurti al ruolo di protagonisti, "profeti" di quella che Pietro Nenni definì "la politica politicante". È forse opportuno, allora, astrarci, per un momento almeno, dalle vicende contingenti per tentare una riflessione sul perché siamo giunti al punto in cui siamo. Così, mentre questi personaggi continuano ad occupare la scena e il nostro sventurato paese, non senza colpa dei cittadini-elettori, si avvia ad avere costoro come governanti, ci viene da pensare alle parole di Norberto Bobbio (chissà se Di Maio e Salvini sanno chi fosse) secondo il quale "non vi è politica senza cultura". In realtà quando ci domandiamo come sia possibile tanto degrado, crediamo di poter dire, in tutta onestà, che con la fine della tanto deprecata Prima Repubblica si è reciso quel cordone ombelicale che legava la cultura alla politica dando a quest'ultima un respiro che sembra aver irreversibilmente perduto. I vecchi partiti - come negarlo? - si sono indubbiamente macchiati di molte nefandezze, ma essi furono, comunque, per molto tempo guidati o ispirati da uomini dotati di un innegabile afflato culturale. Basti pensare (ne citiamo solo qualcuno fra i tanti) a Moro, a Dossetti, a Fanfani, a Togliatti, ad Amendola, a Ingrao, a La Malfa, a Spadolini , a Silone, a Einaudi, a Malagodi e ad Almirante (con il quale, su questo terreno, non ci sembra che, Giorgia Meloni possa reggere il confronto). Oggi del patrimonio che costoro hanno lasciato non è rimasto più nulla. Disperso. Cancellato. Scomparso, come le vecchie ideologie, sostituite da un populismo emergente e dilagante che si nutre della più vieta demagogia; un populismo - sia chiaro - che nulla ha a che vedere con il populismo per così dire storico che nacque in Russia tra il XIX e il XX secolo con l'intento di contrastare il burocratismo zarista. Il nostro "populismo all'amatriciana" che ha nella Lega e nei Cinquestelle i suoi interpreti, consiste unicamente nell'assecondare gli istinti peggiori di un'opinione pubblica in piena fase regressiva. La vera crisi è proprio in questo: nella frattura tra la cultura e la politica che, dovendo dar risposta ai problemi dell'uomo e della società, non può non essere supportata da un respiro culturale. Non è un "caso", del resto che al declino della politica faccia da contrappunto la scomparsa di una categoria che, nel bene e nel male, ha sempre ispirato l'attività politica: quella degli intellettuali. Pensiamo, tanto per riferirci agli esempi più recenti ai Pasolini, agli Sciascia, ai Calvino. Intellettuali e politici hanno vite parallele: se i primi sono "in sonno", sono "in sonno" anche i secondi. All'origine della lunga crisi politica, c'è, dunque, un'altrettanto grave crisi della cultura. Si parla molto, in questi tempi, della necessità di grandi cambiamenti che pongano il nostro paese in linea con l'evoluzione della società. Ma è lecito chiedersi di quali contenuti un simile cambiamento va riempito, chi ne definirà il progetto e che cosa, se non la cultura e i suoi uomini, dovrebbero ispirare le scelte della politica.