Dietro le quinte del nuovo Esecutivo
Un semplice governo fotocopia. Gentiloni sapeva di non poter rimuovere equilibri fin troppo consolidati e si è limitato ad una limitata alchimia politica. Lo scheletro del governo Renzi resta nelle sue strutture essenziali, con capisaldi abbondantemente confermati (Padoan all’ Economia, Delrio ai Trasporti, Franceschini alla Cultura, Orlando alla Giustizia, Pinotti alla Difesa) ma qualcosa di nuovo, sottotraccia, emerge e le new entry (Minniti, Finocchiaro, Lotti, e Fedeli) corrispondono ad un attento, complesso gioco di intese all’ interno del Pd. Così come il trasferimento di Alfano agli Esteri lo eleva ad un ruolo internazionale, riducendo al minimo la concentrazione di polemiche che lo aveva accompagnato nella gestione del problema migranti. L’architettura era da strutturare rapidamente, così è stato. Mattarella aveva preteso tempi brevi e Gentiloni non è rimasto nella palude delle incertezze. Il nuovo premier ha oggi un mandato preciso. Rasserenare i mercati internazionali, continuare il fitto dialogo con la diplomazia estera e superare quella fase referendaria rivelatasi, in questi ultimi giorni, fin troppo isterica. Ma, al di là dei temi generali, nell’agenda del suo Governo ci sono altri temi scottanti, quali un ruolo di attenta vigilanza sulla nuova legge elettorale, il decreto sulle banche da mettere in sicurezza, il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Sabbie mobili che potrebbero sicuramente frenarne l’azione. Ma Paolo Gentiloni Silveri, conte di nascita, con antenati illustri, è persona seria e intelligente, dotato, tra l’altro, di una raffinata predisposizione al dialogo e al moderatismo. Lo ha confermato, tra l’altro , nel difficile dicastero degli Esteri, dove ha tessuto con passione e intelligenza la sua ragnatela internazionale. Nel frattempo, Renzi prepara le sue rivincite. Il segretario sa benissimo che questo Governo può restare in carica per tutto il 2017 e non ha certo voglia di restare in un cono d’ombra. E allora, saltata l’ipotesi di un rapido ritorno alle urne, eccolo affrontare immediatamente, a muso duro, l’ipotesi di un congresso anticipato all’ interno del Pd. Avrebbe ancora in mano gran parte delle chiavi di potere del governo Gentiloni, si muoverebbe, nonostante tutto, sull’abbrivio della sovraesposizione mediatica di questi mesi e non darebbe il tempo alla minoranza interna di organizzarsi e di proporre un nome alternativo. Basterà qualche accorgimento e qualche formale adempimento nell’ambito della prossima assemblea nazionale di domenica prossima, saltando le convenzioni e i congressi di circolo, e l’obiettivo sarà tranquillamente raggiunto. Sarà, tra l’altro, una lunga occasione per poter rivendicare i meriti del suo Governo, i mille giorni di Palazzo Chigi e, soprattutto, quel 40% raggiunto dal Pd che nessuno, in passato, come ha ripetuto ieri in Direzione, era mai riuscito a strappare. Insomma, una storytelling scontata, pagine da raccontare in libertà per riguadagnare prima una riconferma al Nazareno e poi, eventualmente, quella più importante di Palazzo Chigi. Perché politicamente, dopo il referendum, la legislatura si è già esaurita e le grandi manovre delle correnti e dei partiti sono abbondantemente in atto.