Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Elezioni e referendum, prove senza appello

Opinionista: 

La precisazione di Maria Elena Boschi sul referendum costituzionale, e cioè che «non si vota sul Governo ma solo sul merito della normativa», è un cambiamento di strategia? Dopo le tante prese di posizione di Matteo Renzi che ha fatto del voto referendario una questione personale, la vita o la morte del suo Esecutivo il battesimo dall’elettorato. Quale migliore occasione della consultazione referendaria, senza ricorrere allo scioglimento delle Camere, per avere la benedizione della gente e proseguire la sua opera di rottamatore-innovatore? Per converso una tale strategia non poteva che portare l’unità delle opposizioni. E se dovesse andare male? «Vado a casa», è stata la risposta secca di Renzi. Ma, al di là delle perentorie e personali dichiarazioni del presidente del Consiglio, la bocciatura da parte dell’elettorato della riforma costituzionale non lascerebbe alcuna possibilità all’Esecutivo di continuare la sua opera. Altro discorso è se l’attuale inquilino di Palazzo Chigi smetterebbe di fare politica. Lui dice di sì, ma è un po’ difficile credergli conoscendo la sua storia e le sue ambizioni personali: un “rottamatore” non si fa mandare a casa da chi voleva “rottamare”, comunque rimane in campo. Per il momento i sondaggi su “come andrà a finire” la storia renziana non sono esaltanti, ma fino ad ottobre c’è tempo. Bisogna vedere che succederà il 5 giugno quando si voterà per le Amministrative. Il Viminale aveva deciso di aggiungere un giorno in più al previsto 5 giugno, ma anche alla consultazione referendaria, segno che la preoccupazione per le astensioni è forte. Poi il Consiglio dei ministri, sull’onda delle polemiche suscitate dalla proposta del ministro degli Interni, non ha ratificato il giorno in più per le votazioni. È significativa e preoccupante l’elaborazione del Censis che analizza le ultime tre elezioni amministrative. In dodici anni tanti gli elettori che non sono andati alle urne. A Roma sono 572mila i votanti “persi”, il 31,5 per cento in meno; a Milano 225mila, il 25 per cento; a Torino -166mila, il 26,1 per cento; a Napoli, infine, 89mila pari al 15,9 per cento. Insomma, più si va avanti e più la “non partecipazione” aumenta, alla faccia delle esortazioni televisive. Ma più che invitare in tutti i modi possibili gli elettori ad andare alle urne, probabilmente ci vorrebbero comportamenti coerenti da parte dei partiti. Ad esempio, sulla questione legale. A favore di Renzi ci sono le divisioni nel centrodestra. Matteo Salvini dichiara, pur di fare anche un dispetto a Silvio Berlusconi, che se ci sarà un ballottaggio tra Raggi e Giachetti a Roma lui non voterà mai «un candidato del Pd perché il problema dell'Italia è il chiacchierone Renzi, io un uomo del Pd non lo voto nemmeno sotto tortura». E pensare che con il “chiacchierone Renzi” l’ex cavaliere aveva sottoscritto “il patto del Nazareno”. E c’è chi dice che sotto-sotto un barlume d’intesa esista ancora. E che succederà se il referendum manderà tutti a casa? Renzi e il suo Esecutivo si dimetteranno. A questo punto è probabile che il presidente della Repubblica scioglierà le Camere. E poi? Solo un mago potrebbe prevedere il resto. Fermiamoci per il momento a cosa accadrà il 5 giugno ed ai successivi ballottaggi. Poi si vedrà.