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Il grande gioco delle elezioni politiche

Opinionista: 

Il fermento c’è ed è a dir poco forte. La politica c’entra, ma fino ad un certo punto. Qui sono in gioco i destini personali degli attuali parlamentari. Marzo o maggio che sia il giorno del voto, loro vorrebbero starci nelle liste elettorali come avvenne quattro anni prima. Allora riuscirono a trovare un posto in lista e furono eletti. Domani, quando si andrà al voto, non sanno ancora se “il capo” li riconfermerà e se poi gli elettori li voteranno. Ma, per il momento, la cosa importante è esserci. Essere riconfermati. Certo, non c’entrano i big. Loro il posto “al sole” lo avranno sempre, anche se la preoccupazione di ritornare a Palazzo Madama o a Montecitorio c’è sempre. Solo una voglia di rappresentare al meglio gli interessi degli elettori i tanti “cambi di casacca” che si sono dovuti registrare in Parlamento in questa legislatura? Parliamo di transumanze bibliche: 297 cambi registrati alla Camera a fine settembre e 229 al Senato. In questi dati vanno comprese anche scissioni dolorose, come quella che ha colpito il Pd dando vita ad Articolo 1. Ben 22 deputati sono usciti dai democratici di Matteo Renzi. Anche nel centrodestra si sono avuti distacchi, con la nascita del Nuovo Centrodestra di Alfano, poi ribattezzato Alternativa popolare. Pure i figliocci di Beppe Grillo hanno subito perdite, 21 sono andati via, ma non c’è stato alcun deputato o senatore a voler entrare nei 5Stelle. Una volta tutto questo via vai non c’era. Allora, ai tempi del muro di Berlino, erano le ideologie a bloccare i passaggi tra i partiti. Pensare di andare dal Partito Comunista alla Democrazia Cristiana, o viceversa, era cosa impossibile, anche se forse pure allora qualche cosa del genere sarà avvenuta. Silvio Berlusconi, dopo la vittoria in Sicilia del centro-destra, si prepara alla “grande battaglia” delle Politiche. E proprio per evitare sindromi da cambio casacca, sempre delicate, dichiara che confermerà tutti i deputati e senatori uscenti. Per i nuovi ingressi sarà lui a fare i casting. L’obiettivo dell’ex Cav. è chiarissimo, bisogna portare a casa un voto in più del Matteo padano e per fare questo c’è bisogno di tranquillità all’interno del suo gruppo. Il suo motto è “unità nella diversità”. Unità con Lega e Fratelli d’Italia per vincere. Diversità per salire (lui) sul podio del comando. C’è chi pensa a Forza Italia come alla nuova Democrazia Cristiana. L’originale venne sciolta nel 1994 sotto i colpi di Mani Pulite. E c’è chi, quindi, fa la corte a Silvio pensando ad un centro vincente come una volta. Per ora ci sono solo dei “sussurri”. Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, Gianfranco Rotondi di Rivoluzione cristiana, nonché Clemente Mastella dell’Udeur pensano ad un’aggregazione comune proprio per poter “gridare” di gioia in caso di vittoria. C’è poi l’eterno Denis Verdini corteggiato da Berlusconi. Il presidente di Forza Italia lo vorrebbe riportare a casa e utilizza il fedele - di nome e di fatto - Confalonieri per farlo. Insomma, la vittoria alle siciliane ha scatenato appetiti – e nuove aggregazioni – in vista delle Politiche di marzo. La batosta siciliana fa gridare di sdegno, ma anche di paura per un possibile bis, i grossi calibri della sinistra. “Non vogliamo un’altra Sicilia”, grida dal palco della sua convention Giuliano Pisapia. E gli fa eco Valter Veltroni: “È irresponsabile dividere la sinistra”. Sarà pure irresponsabile, e lo è, ma nessuno pare voglia fare, al di là delle belle parole e delle esortazioni di rito, nemmeno un mini, ma proprio mini passo di lato. Una cosa è l’esortazione e la predicazione, un’altra è la concretizzazione, ovvero la realizzazione delle prediche. In campo, certo non per fare un favore al Matteo gigliato – il giglio in verità è parecchio appassito di questi tempi –, sono scesi contemporaneamente i presidenti del Senato Pietro Grasso e della Camera Laura Boldrini. La parola d’ordine è “no Renzi, no Pd”. In tutta questa confusione si possono comprendere le preoccupazioni dei parlamentari uscenti. Un po’ di meno si capiscono certe ipotesi aggregative, o al contrario divisorie, che fremono all’interno dei partiti. Ma perché tutto questo movimento avviene a qualche mese dalle elezioni? Non ci si poteva pensare prima? Non ci si meravigli allora se gli elettori non capiscono e disertano, o votano per protesta.