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La criminalità infantile sempre più in aumento

Opinionista: 

Cari amici lettori, mi scuso con voi perché sono costretto a tornare sullo stesso argomento dopo una sola settimana, ma purtroppo l’attualità incalza . nella stessa direzione. Cominciò con il bullismo, poi sono venute le babygang e infine siamo arrivati a vere e proprie bande criminali, che di baby hanno solo l’età dei componenti. Qualcuno ricorderà la cinematografia americana degli anni ’80, che ci presentava bande giovanili in conflitto fra loro, fino a produrre un film che la critica paragonò, per certi versi, all’Odissea. Bene, anzi malissimo, la nostra realtà attuale è assai peggiore sia perché i nostri banditi non sono giovani ma adolescenti o addirittura bambini, sia perché la violenza non è soltanto interna, nel senso di svilupparsi in un conflitto fra bande, sia perché non sempre ha una motivazione razionale se pur criminosa, come la rapina, ma, spesso, è del tutto immotivata. Il fenomeno è nazionale, come appare evidente dal reiterarsi degli episodi delinquenziali anche a Torino (e nelle altre grandi città, se pur trascurate dal sistema mediatico), ma è particolarmente sviluppato a Napoli e dintorni. Facciamo un po’ di conti. La banda di rapinatori minorenni scoperta in questi giorni nel Casertano si aggiunge ai sette gravissimi episodi verificatisi a Napoli e dintorni nell’arco di appena sessantatré giorni: due a Chiaia (accoltellamento in Villa Comunale il 12 novembre e doppio ferimento in Via Carducci il giorno dell’Epifania), due al Vomero (tre giovani accoltellati, uno il 10 dicembre in via Merliani e due a piazza Vanvitelli il 17 dicembre), uno a Foria (un ferito grave il 18 dicembre), uno a Chiaiano il 12 gennaio e uno a Pomigliano il 14 gennaio (due ragazzi assaliti a colpi di catena a scopo di rapina). Tutto questo non considerando le scene da western che hanno terrorizzato, durante le feste di Natale, la zona dei “baretti”. Sembra quasi che si tratti di una replica infantile di Chicago anni ’30: peggio, perché si rischia il morto per uno smartphone, quando non si tratti addirittura di una mera necessità di autoaffermazione. Costoro sanno, nel profondo di un io deviato, di non valer nulla e vogliono convincere (se stessi prima e poi gli altri) che esistono e contano. Ho sentito da varie parti affermare che la soluzione del problema sarebbe nell’educazione e non nella repressione. Posso condividere la prima proposizione: io stesso, la scorsa settimana, ho ravvisato nella crisi della scuola e della famiglia la radice principale del fenomeno. Una seria revisione degli attuali sistemi educativi è certamente la soluzione a lungo termine. Impresa davvero difficile perché in democrazia, come spiegò Platone, “il maestro teme e adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri”. Oggi basta guardarsi in giro per verificare che ci troviamo proprio nella democrazia descritta dal filosofo. Ma davvero vogliamo disinteressarci, da tipici buonisti, di quei nostri figli e nipoti che vengono percossi e feriti, che subiscono il distacco della pleura e l’asportazione della milza, che rischiano di essere uccisi, che finiranno per convivere tutti con la paura e vedere ostacolata la propria crescita psicologica? Allora rifiuto con tutte le mie forze l’esclusione della repressione dai rimedi per difendere la società da questo nuovo flagello. Un legislatore avveduto (tale può essere anche il Governo che decreta) deve soltanto chiedere ai tecnici del diritto quale sia la formula per mettere i banditi in condizione di non nuocere e rieducarli forzosamente. La premessa, ovviamente, è la rinunzia al buonismo. Abbassare il tetto dell’età minore in materia penale potrebbe servire a qualcosa; ma forse basterebbe escludere dai benefici del diritto minorile coloro che si associano in babygang. Un’operazione, in buona sostanza, analoga a quella che discrimina la criminalità organizzata da quella comune. Ancor più utile sarebbe l’istituzione di misure di sicurezza detentive non solo per i minori imputabili ma anche per quelli non imputabili: misure che non dovrebbero avere una durata determinata ma cessare solo con il progresso nell’educazione coatta. Nemmeno andrebbero trascurati, d’altra parte, gli interventi sulle famiglie responsabili della diseducazione dei minori, quando non addirittura della loro educazione al crimine. Non pretendo di suggerire soluzioni concrete. Ciò che conta è il fine: combattere la pericolosità sociale tendendo, come prevede la Costituzione, alla rieducazione del delinquente. Il problema, purtroppo, è sempre lo stesso: quis custodiet custodem?