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La cultura (come le case) di tolleranza

Opinionista: 

Cari amici lettori,questa settimana è molto difficile scegliere fra le molte notizie che ci ammannisce la cronaca. Non credo che valga la pena di perder tempo con il ridicolo referendum a cinque stelle. Ne hanno già trattato cani e porci, di questa barzelletta che non fa ridere. Sono tentato anche di sorvolare sulla disavventura giudiziaria dei genitori di Renzi, poiché la mia coscienza cristiana mi rimprovera i brevi momenti d’intensa felicità che ho vissuto nell’apprendere la notizia: ma come faccio a dimenticare che a causa di Renzi senior ho dovuto togliermi una barba che mi piaceva, terrificato dalla somiglianza? E come dimenticare la sua supponente presa di distanza quando pontificò sul padre di Di Maio? Perdonami, Signore, ma mi guidarono le Tue parole sulle pagliuzze e sulle travi! Ora mi dispiace per il povero figlio Matteo, che sta tentando, senza molto successo, di riciclarsi come uomo di cultura, non essendo riuscito a trovare audience in Tv, e ha dovuto (per decenza) rinunziare alla presentazione dell’ultimo libro a lui attribuito. Un dubbio mi affligge: sono le colpe dei padri a ricadere sui figli o quelle dei figli a ricadere sui padri? Quella che per me è la vera notizia da scoop è la disavventura di Finkielkraut. Voi sapete tutto di Saviano e di molti altri personaggi che sono accreditati come uomini di cultura sol perché appartenenti all’intelligentia, mi domanderete, alla maniera di don Abbondio: “Chi è mai costui?”. “Alain Finkielkraut è conosciuto in Italia (ricopio questo periodo da Wikipedia ma dubito che sia conosciuto davvero) soprattutto per le sue posizioni che prendono distanza dal relativismo e dal pensiero debole. Opere di Finkielkraut tradotte in italiano sono: L'ebreo immaginario, L'umanità perduta. Saggio sul XX secolo, Nel nome dell'Altro. Riflessioni sull'antisemitismo che viene e Noi, i moderni. Quest'ultima è una sferzante critica nei confronti di ciò che viene indicato come l'attuale pensiero dominante e della presunzione di cui questo è permeato.” A queste opere va aggiunta quella più recente: “L’identità infelice”. Alain Finkielkraut, come Oswald Spengler un secolo fa e Samuel Huntington vent’anni fa, è un pensatore poco gradito all’estabilishment nostrano perché, essendo fuori del coro, riesce a comprendere dove va il mondo. Il poveraccio ha un piccolo difetto: è ebreo, per di più figlio di due sopravvissuti ad Auschwitz. Ma come, direte voi, con tutta la retorica sulla Shoah, questo sarebbe un difetto? Sembra, invece, proprio di sì. Il filosofo, uno dei pochi intellettuali che ha sostenuto i gilet gialli, era al raduno di questo fine settimana, ove è stato aggredito, insultato e minacciato. Gli era già accaduto in passato, in circostanze diverse, ma aveva risposto a tono. Stavolta ha detto: “Non sono una vittima, né un eroe. Ho sentito un odio assoluto contro di me e, purtroppo, non è la prima volta. Avrei avuto paura se non ci fosse stata la polizia, per fortuna era là.”.La banda Macron ha certato di speculare sulla vicenda per porre in cattiva luce i contestatori dell’attuale regime. Il presidente ha dichiarato: “Gli insulti antisemiti sono la negazione assoluta di quel che noi siamo e che fa di noi una grande nazione. Non li tolleriamo”; il suo portavoce Benjamin Grimeaux ha tenuto a precisare: “All’interno dei cortei di gilet gialli, una minoranza mostra un antisemitismo becero: elementi di estrema sinistra e di estrema destra che vanno perseguiti e condannati”. Ma il filosofo ha chiarito che gli aggressori non erano gilet gialli, bensì islamisti: “Sarei sorpreso se fossero gilet gialli, perché sono uno dei pochi intellettuali ad aver sostenuto il movimento dal suo inizio”. Fra gli aggressori “ce n’era uno con una leggera barba che mi ha detto ‘Dio ti punirà’: questa è la tipica retorica islamista”. Ne “L’identità infelice” Finkielkraut descrive una Francia invasa, sempre più antisemita e anticristiana, sempre più violenta e invivibile. Silvana De Mari, una delle poche teste pensanti rimaste in Italia, paragona Finkielkraut a Pym Fortuyn, il politico olandese assassinato sedici anni fa da un jihadista, che aveva scritto anch’egli cose di questo genere. La De Mari si riallaccia esplicitamente a Oriana Fallaci, altra grande donna che aveva capito molte cose. La sedicente cultura occidentale che abolisce religione, tradizioni, famiglia e ogni altro vestigio della propria civiltà non può difendersi da un islamismo ancora una volta all’attacco. Se al posto di San Pio V ci fosse stato Papa Francesco, la battaglia di Lepanto non sarebbe stata combattuta e la Cristianità si sarebbe inginocchiata ai piedi del Sultano. Già oggi in Francia le chiese vengono demolite per far posto alle moschee e gli ebrei fuggono in Israele. Cos’altro stiamo aspettando? Quousque tandem abutere patientiae nostrae?