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La misericordia del Papa e i fallimenti dei politici

Opinionista: 

Ancora una volta Papa Francesco non si limita ad un’opera di misericordia e di cura evangelica del prossimo più derelitto e sfortunato, ma ha voluto manifestare con forza tutta la negatività di un giudizio verso la politica europea nel suo complesso e verso le bieche ed ignobili misure di restrizione e respingimento dei migranti da parte di non poche nazioni del continente. La paura dei populismi e dei partiti della destra xenofoba sta spingendo – per mero calcolo elettorale – i leader di alcuni paesi, anche a direzione socialdemocratica, ad elevare barriere e ad impedire i transiti dei rifugiati. È il caso dell’Austria e della sua socialdemocrazia al governo che vuole chiudere il confine del Brennero. È il caso del socialista Hollande che usa la forza contro gli immigrati accampati a Calais. Ma torniamo a Francesco. Molti, anche nei circoli vaticani, gli rimproverano un eccesso di politicizzazione nel suo magistero. Ma come non intervenire a voce alta dinanzi al fallimento della politica europea di gestione dei flussi migratori? Come non rendersi conto che è in corso una durissima battaglia tra il cinismo di una politica stretta tra la ricerca populistica del consenso e l’ossequio ai dettami di una religione (questa sì una vera e propria blasfemia!) del mercato e delle sue presunte leggi immodificabili, da un lato, e la consapevolezza, di cui il Papa appare sempre più portatore, di quanto sia necessaria una cultura politica condivisa dei diritti umani e della loro universalizzazione, dall’altro? Le reazioni scomposte e sguaiate di Salvini e Gasparri fanno tutt’uno col silenzio glaciale delle principali cancellerie europee. Ed è questo il vero significato che sta dietro ai continui gesti di misericordia – anche e soprattutto quest’ultimo dell’accoglienza in Vaticano di tre famiglie di siriani musulmani, - messi in atto da Bergoglio sin dall’inizio del suo pontificato: una critica, neanche troppo velata o diplomatica, alla politica europea specialmente dopo l’accordo tra Turchia e Unione Europea, una politica del tutto incapace di capire la vastità e la pericolosità della «catastrofe umanitaria più grave dalla seconda guerra mondiale ». Ed anche il ricompattamento del fronte ecumenico (la partecipazione del patriarca di Costantinopoli e dell’arcivescovo di Atene alla cerimonia religiosa di Lesbo) vuole porsi, al di là del valore simbolico della decisione, come un concreto atto politico esemplare per tutta l’Europa e il mondo intero. In un articolo su “Il Manifesto” si poteva leggere questa affermazione che io ritengo del tutto condivisibile: «Le chiese sembrano oggi le sole agenzie culturali transnazionali in grado di forzare i limiti di una politica miope e costretta nelle maglie del consenso elettorale e delle restrizioni economiche ». Molti, specialmente i rappresentanti della politica che decide o dovrebbe decidere, sembrano non avere consapevolezza della importanza della posta in gioco, che non è solo quella della immane tragedia di centinaia di migliaia di esseri umani che fuggono dalla fame, dalla paura, dalla miseria e dalle guerre, ma anche la salvezza di un’idea e di una prassi politica: l’Europa. Nella sua lunga storia si è spesso gridato alla sua crisi e al pericolo della sua fine, ma quella idea è risorta sempre, spingendo in avanti la sua natura cosmopolitica e pacifica. Ma ogni volta essa ha avuto bisogno di uomini di buona volontà e di pensieri di libertà, uguaglianza e fraternità. Per questo dobbiamo esse grati all’umanità e all’universalità del messaggio di Francesco.