Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

La misericordia non è un atto autoreferenziale

Opinionista: 

D a quando, con la bolla dell’11 aprile, Papa Francesco ha dato l’annuncio dell’indizione del Giubileo della misericordia mi sono più volte interrogato sui motivi e sulle implicazioni che che tale scelta ha messo in luce. “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi”. Questo passo apre il testo della bolla e dà subito il segno al quale anche un non credente come me accoglie con rispetto e con una disposizione ad accogliere le motivazioni e le implicazioni che riguardano la difficile e drammatica fase del nostro presente e dell’indecifrabile futuro che ci attende. È la figura di Gesù che, fin dall’inizio della bolla papale, è immediatamente connessa all’idea della misericordia: “Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio”. D’altronde, come ha scritto il cardinale Walter Kasper, teologo e filosofo ben noto a livello internazionale e che è stato sino al 2010 presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, “sarebbe possibile riassumere tutto il vangelo sotto il titolo della misericordia”. Non si tratta, mi pare questo il filo conduttore del ragionamento che sulla misericordia hanno fatto sia Kasper sia ancor di più Bergoglio, di una pur nobile ed elevata petizione di principio, ma di un orientamento che ha, può avere, risvolti importanti nelle analisi e nei necessari tentativi di comprensione delle ragioni della violenza, del terrorismo, del fanatismo religioso di chi - terribile blasfemia! - usa il nome di Dio per uccidere. È con i “gesti della misericordia” che si può sconfiggere chi usa le “armi della paura". In un articolo sul giubileo il cardinale Ravasi ha ricordato una pagina dell’Idiota di Dostoevskij nella quale la misericordia veniva definita come la “più importante e forse unica legge di vita dell’umanità intera”. Ma essa non sta mai da sola, con essa si accompagnano il perdono, la clemenza, la compassione, la solidarietà. Cioè tutto ciò che è linfa e carne della rivoluzione cristiana: il farsi “prossimo”, il mettersi al servizio di chi ne ha bisogno, di chi ha fame, di chi fugge la guerra, la violenza e l’oppressione. La misericordia non può mai essere, dunque, un atto solitario e autoreferenziale, una virtù esercitata solo nel chiuso di una coscienza isolata; essa ha bisogno di una idea di uomo che decide di aprirsi e confrontarsi con l’altro, di una antropologia – come sostiene Kasper – che si basa sull’empatia e la simpatia, su una comprensione di se stesso nel rapporto con l’altro. È su queste basi che si costruisce la risposta alla paura del terrorismo e della guerra portata sin dentro le nostre città, le nostre piazze e le nostre case. Ma non perché basti un sentimento di solidarietà soltanto enunciato talvolta retoricamente, giacché occorre un lungo e faticoso processo di incontro interculturale e interreligioso, un incontro tra principi morali, tradizioni giuridiche stili di vita che non devono annullarsi l’uno nell’altro, ma percorrere insieme con pazienza la via della reciproca comprensione. Proprio perché il nemico di tutto ciò è il fanatismo religioso e ideologico - che va combattuto senza quartiere oltrepassando però i limiti perniciosi degli egoismi nazionali e degli interessi economici palesi e nascosti dietro il tuonare dei cannoni e delle bombe – bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza una contaminazione delle diverse culture e delle diverse radici (senza che l’una tenti di prevaricare l’altra) non c’è speranza che si avveri il regno della misericordia e della pace.