La mossa di Berlusconi e il rischio neocentrista
O Roma o morte. Comunque vadano a finire le elezioni nella Capitale, il centrodestra è finito. Annunciato, cercato, scientificamente preordinato, lungamente preparato da rotture, scissioni e liti d’ogni genere, il suicidio dell’alleanza che per 20 anni fu l’alternativa di governo alla sinistra si consuma nel modo più fragoroso possibile. D’altronde Lega e Fdi avevano spinto Berlusconi in un vicolo cieco: se l’ex premier avesse deciso di convergere sulla Meloni, avrebbe di fatto abdicato alla sua leadership; se avesse insistito su Bertolaso, invece, sarebbe andato incontro a una Caporetto elettorale. Anche se in quest’ultimo caso avrebbe almeno conservato una residua possibilità di ricostruire l’unità della coalizione dopo, nel fuoco della battaglia referendaria d’ottobre. Scegliendo Marchini, invece, il Cavaliere non solo frantuma il centrodestra, ma rischia di provocare una conseguenza che è la più radicale negazione di quella che è stata la cifra del suo impegno politico: l’avversione a qualsiasi progetto neocentrista. Quanto sta accadendo, infatti, travalica i confini della partita romana, prefigurando un nuovo scenario nazionale. Per essere chiari: l’entusiasmo col quale i Casini, i Fini e gli Alfano hanno accolto «la scelta epocale» di Berlusconi, sono il necrologio del centrodestra. Se chi ha distrutto l’alternativa alla sinistra si eccita nell’annunciare il «nuovo inizio del centrodestra», allora è lecito coltivare più di un dubbio. Il rischio è avviare un processo politico che traghetti ciò che resta di Fi in un progetto neo-centrista che finirebbe inevitabilmente - anche al di là dell’effettiva volontà dei suoi protagonisti - col diventare un sostegno moderato al Pd. Magari dopo che Renzi avrà convinto i postcomunisti alla scissione definitiva, o li avrà resi talmente marginali da renderli ininfluenti. Nella nuova Repubblica dell’astensionismo, questo disegno condannerebbe i moderati a scegliere tra il supporto subalterno al partito della Nazione renziano e l’alleanza con una destra rinchiusa nel nuovo ghetto lepenista. In entrambi i casi le forze di centrodestra non sarebbero più alternativa di governo. Non è chiaro quanto Berlusconi sia consapevole di questo pericolo. A meno che non punti a circoscrivere tutto ad un fatto di politica locale romana. Il che, francamente, appare molto difficile per non dire impossibile. O a trasformare Marchini nel nuovo anti-Renzi. Vedremo. Per ora va registrata una coincidenza quantomeno sospetta: mentre Fi annuncia il sostegno a Marchini, il Pd ufficializza un incontro con Verdini per formalizzare un accordo «complessivo». Una cosa è certa: le Comunali dimostreranno che in Italia c’è tanta gente che non ha alcuna voglia di morire renziana. Urge una nuova iniziativa politica in grado di intercettarne la fiducia a sostegno di un progetto di governo alternativo al Pd. Chi ha uno straccio d’idea si faccia avanti. E soprattutto parli chiaro. VINCENZO NARDIELLO