La prova di maturità del mondo populista
Il labirinto sembra aver trovato la sua via d’uscita. L’ultimo passaggio al Quirinale di Lega e 5Stelle offre finalmente uno scenario chiaro. A capo del governo, una figura di qualità come Giuseppe Conte, docente universitario con esperienze internazionali, uno dei veri garanti dell’intesa. Poi, l’offerta di un Esecutivo con nomi scritti a matita, eventualmente negoziabili. Infine, soprattutto da parte di Salvini, un forte richiamo al progetto di Paese che sottende il Contratto sottoscritto, tranquillizzando le fibrillazioni dei mercati europei. La sensazione che oggi il nome di Giuseppe Conte appaia gradito a Mattarella, impegnato da settimane in un estenuante confronto, sembra chiara. Il nome corrisponde a determinate caratteristiche accademiche e professionali e non sarà certo il Presidente, a questo punto, a stopparlo. Più lunga appare la trattativa sui ministri che Mattarella deve nominare, secondo prassi, su proposta di chi guida il Governo. Sarà lì che le prerogative del Quirinale andranno esercitate nella pienezza dei propri poteri. Ma non si annuncia un braccio di ferro. Salvini e Di Maio hanno capito come, in quest’ultima fase, l’Esecutivo vada irrobustito con figure di qualità, soprattutto nei dicasteri strategici. Da qui, i nomi che filtrano sui giornali. Paolo Savona, già ministro del governo Ciampi, all’Economia e Giampiero Massolo, stretto collaboratore di Gianfranco Fini alla Farnesina, agli Esteri.Qualche figura di spessore, per poi imporre i nomi politici, quelli da far digerire, quelli essenziali nelle architetture politiche di governo: i Giorgetti, i Centinaio, i Bonafede, magari Toninelli e Giulia Grillo. I pochi tecnici sono probabilmente oggi il passepartout per garantirsi la “benevola astensione” di Mattarella sulla squadra di governo di stampo politico. Restano sul tavolo problemi secondari. Per molti anni i populisti hanno vomitato odio su Palazzo Chigi. Alla gogna i presidenti non eletti dal popolo, mancata espressione del voto popolare, leaders ripescati in corso d’opera. Critiche profonde su Mario Monti, proiettato improvvisamente a Palazzo Madama come senatore a vita, prima di essere ossequiato con la leadership di governo. Ma non sono mancati gli attacchi ad Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, tutta gente che aveva il solo torto di non essere stato indicato chiaramente dalla propria coalizione, durante la campagna elettorale, alla guida del Paese. Poi, alla prova dei fatti, ecco tirar fuori dal cilindro il nome di Conte, docente universitario, un curriculum di tutto rispetto, già indicato ministro nella squadra di governo di Di Maio, persona sicuramente qualificata ma lontano da ogni vero agone delle urne. Con una battuta, qualcuno ha commentato che il nuovo premier è l’unica cosa del Sud di questo Governo, essendo nato in provincia di Foggia. In realtà, nel Contratto, stipulato in pompa magna, il Mezzogiorno appare ancora come un fantasma, praticamente scomparso da quelle pagine. Vedremo alla prova dei fatti se il reddito di cittadinanza sia davvero l’unica carta che la nuova maggioranza intende giocare sul tavolo della grande inquietudine del nostro Meridione. Ultimo dato. Fin sul filo di lana si è cercata un’intesa tra la Lega e Fratelli d’ Italia. Ieri, l’ultimo colloquio Salvini – Meloni, contrabbandato come un confronto sullo stato di salute del centro-destra. In realtà, si è parlato probabilmente di un appoggio laterale che la formazione dell’ex Ministro della Gioventù avrebbe potuto fornire sul traguardo. Nulla di scandaloso, per carità. Fratelli d’Italia si è mossa sostanzialmente sulle stesse posizioni euroscettiche e populiste di Lega e 5Stelle. La sua esclusione appare strana, motivata più da un processo di semplificazione politica che da una reale scelta strategica. E compresa la situazione, come nelle favole di Fedro, si è scoperto che l’uva era acerba ed oggi non c’è più nessuna voglia del team della Meloni di entrare organicamente nella squadra di governo. Tra contatti e contratti è l’ora delle scelte finali. Tra pochi giorni, non sarà più tempo di proclami ma di fatti concreti. E il confronto in Europa e nel Paese non si annuncia certamente facile.