La reintroduzione del sistema voucher
Nei giorni scorsi è stata approvata al Senato con la fiducia la manovra correttiva sui conti pubblici secondo la direttiva europea. Tra i provvedimenti più discussi e controversi c’è la reintroduzione del sistema dei voucher Si potrà certamente discutere, come qualcuno ha fatto, se e quanto la manifestazione romana della Cgil a San Giovanni sia di natura sindacale o non anche di natura politica, se il vero obiettivo era quello di una contestazione ad ampio raggio dell’azione del governo o invece quello di una più che legittima difesa degli interessi dei lavoratori. Ma non è questo il problema che a me pare rilevante. La vicenda è ben nota: si tratta del sistema dei voucher, aboliti dal governo col chiaro intento di evitare il referendum nel frattempo richiesto da oltre 3 milioni di cittadini e subito reintrodotti una volta scampato il pericolo. Si dirà che una differenza c’è tra la vecchia disciplina che consentiva l’uso dei voucher in tutte le aziende e in tutti i comparti della produzione, mentre con le nuove norme i buoni lavoro possono essere usati dalle famiglie e dalle imprese fino a 5 dipendenti. Ora solo in pochi sanno che questa tipologia aziendale, talvolta con un solo dipendente, raggiunge la ragguardevole percentuale del 90%, il che in parole povere non solo ha come conseguenza una forte crescita del disinteresse padronale verso gli investimenti e la crescita, ma, cosa ancora più grave, favorirà l’aumento del precariato e di condizioni di lavoro che non prevedono i sussidi di disoccupazione, né il diritto alle ferie e all’assistenza medica. Vi è inoltre in tutta questa vicenda un inquietante profilo che va al di là delle motivazioni che hanno indotto la Cgil a organizzare la manifestazione. Si tratta d’altro e di più grave. Siamo dinanzi all’ennesimo attacco all’idea e alla sostanza della democrazia, delle sue regole, della sua rappresentatività. Non è una esagerazione, né un esercizio di propaganda politico-ideologica, ma una rappresentazione della verità, la dichiarazione di uno dei più stimati costituzionalisti italiani, Gaetano Azzariti, che ha, senza mezzi termini, parlato di una “frode ai danni dell’art. 75 della Costituzione” che regola la normativa sui referendum. La storia è nota, ma è bene ricordarla nella successione delle sue fasi. Agli inizi di gennaio l’alta Corte ha deciso di ammettere due dei tre quesiti su cui si basava la piattaforma referendaria del maggior sindacato italiano. Passano alcuni mesi in cui Renzi e i suoi colonnelli trascorrono il tempo a leccarsi le ferite inferte dal Referendum del 4 dicembre e soltanto a metà marzo il governo Gentiloni fissa la data per lo svolgimento del Referendum, il 28 maggio. Ma, ecco il colpo da maestri giocolieri e maghi del trucco, solo qualche giorno dopo la fissazione della data del Referendum il governo abolisce i voucher e estende alle ditte appaltanti la responsabilità delle ditte subappaltanti: insomma si accolgono in pieno le richieste referendarie. Alla Cassazione non resta che annullare il referendum, per la cessazione dei motivi che erano alla sua base. A questo punto scatta, com’è stata da molti definita, la “mega truffa” imbastita dal governo che reintroduce i voucher con infinita e sprezzante offesa ai principi fondamentali della democrazia, primo fra tutti il rispetto della volontà popolare, ma anche con un offensivo atteggiamento verso il maggior sindacato italiano che rappresenta milioni di lavoratori. Ora bisogna solo sperare “che ci sia un giudice a Roma” che, fuor di metafora, vuol dire che la Corte Costituzionale potrebbe anche accogliere il ricorso di incostituzionalità della Cgil e tutto tornerebbe in movimento in un conflitto sempre più evidente che ha il suo fulcro nelle irrisolte e sempre rinascenti questioni del lavoro.