La scissione nel Pd e l’allergia al ricambio
Nel linguaggio della fisica nucleare la scissione evoca una straordinaria produzione di forze. Ed una lunga tradizione epistemologica novecentesca ha insegnato che quanto accade per le leggi della natura può servire a comprendere le cosiddette leggi della società. Non sembra sia così per il caso, tra il miserevole ed il grottesco, della cosiddetta “scissione” del Pd. Forse la vicenda non meriterebbe nemmeno una punta d’attenzione, tanto banali ne sono le motivazioni e gli scopi, se non fosse però che in essa si legge una fenomenologia più generale della storia italiana, sulla quale è forse il caso di riflettere. Le ragioni della scissione, mi pare siano presto dette e sono assai più semplici di quanto i suoi protagonisti vorrebbero far credere. Ci vuol poco a comprendere che non è la disattenzione per le periferie o lo scarso impegno per le fasce deboli che fan battere i cuori della “minoranza del Pd”. A far diffidare non sono solo le facce di questi novelli Rinaldi della sinistra più dura e pura, quanto anche la banale considerazione che, se questi fossero i temi, basterebbe assai poco a farli valere animando il dibattito su di essi all’interno del partito. La forza delle cose di cui quegli interessi sono portatori, sarebbe più che sufficiente ad imporli all’agenda politica. Ma la resipiscenza su tematiche lungamente abbandonate, sparge più d’un sospetto. Soprattutto per coincidenze cronologiche, perché è assai più concreto l’approssimarsi delle scadenze elettorali, quando le candidature al Parlamento, e non solo, saranno stabilite dalla Segreteria del partito: ed il gagliardo Renzi deve avere – forse ingenuamente – un po’ troppo chiaramente lasciato trapelare (trapelare si fa per dire) come i compagni di partito, gli stessi che si sono a lui ribellati affondando la proposta referendaria, difficilmente troveranno confortevoli posti all’interno delle liste. E questa, per quel personale politico, è una prospettiva che definire catastrofica è usare un eufemismo. Di qui la brillante idea di formarsi un partito tutto nuovo, con l’unica, evidente finalità di far da veicolo per un rinnovato soggiorno in Parlamento: non cosa da poco, a giudicare dall’interesse che costoro mostrano nel volervi tornare. C’è poi stato qualcuno, particolarmente attivo sul fronte antireferendario e della scissione, che ha aspirato, senza ottenerlo, a posti di ben altro lignaggio, conformi al lignaggio cui ritiene d’appartenere. Questo il quadro: i partiti politici che dovrebbero essere lo strumento per costruire la politica nazionale, aggregando forze ed interessi selezionati verso i quali orientare l’attività delle istituzioni, da noi nascono e muoiono nel quasi esclusivo utile del personale politico, sono puro strumento per l’accesso e la conservazione di posti di privilegio, del tutto incuranti della possibilità d’attuare altra politica che non sia l’interesse delle dirigenze che se ne servono. Non diversamente può spiegarsi la scissione all’interno d’un partito che avrebbe potuto candidarsi nella prossima legislatura alla guida del Paese, e questa operazione per costituirne un altro, stimato tra il 3 e l’8 % che, nella migliore delle ipotesi potrà formulare qualche ricatto politico per guadagnare posizioni di governo o sottogoverno. Ma qui, in fin dei conti è il punto: la nostra è una società che rifugge il ricambio, in ogni suo ganglio, a partire dalla classe politica che, invece, legandosi al raggiungimento di obiettivi generali, deve passar la mano, e definitivamente, una volta che in essi abbia fallito. Quando un uomo politico, un D’Alema o un Bersani, ad esempio, ha esaurito il proprio ruolo dopo essere stato messo alla prova, e numerose volte, fallendo qualsiasi obiettivo di rilievo, non dovrebbe star lì ancora con ampio potere, soprattutto con potere di veto (perché di proposta, nemmeno a parlarne). Dovrebbe farsi da parte e consegnarsi al giudizio della storia. Nelle società, il ricambio è essenziale come lo è negli organismi (e qui torna il parallelo epistemologico). La stasi, la coazione a ripetere e simili, sono tutti fenomeni gravemente patologici. Perché chi è superato dalla storia e non vien messo da parte costituisce ostacolo o addirittura veleno per la comunità. Ma la nostra è una comunità, si ripete, allergica al ricambio come Dracula all’aglio. Ogni forma d’innovazione è mal vista: sia essa negli apparati pubblici, come nell’impresa privata, la dimensione familiare prevale – con tutto il suo retaggio d’interessi particolari e conservatori – ancora su ogn’altra, il personalismo, fatto soprattutto di odi ma anche d’infinite aderenze ed ambiguità, la fa da padrone. Cosicché da noi è ancora possibile costituire un partito privo di qualsiasi proposta politica apprezzabile, fatto all’esclusivo uso dei suoi ideatori. Ed è possibile anche che raccolga voti, dato che misoneisti non sono solo i politici ma l’intera comunità è allevata al culto del passato. E la figura di maggior speranza dovrebbe essere rappresentata (ed io penso lo sia) da chi, dimettendosi, ci ha lasciato il noto governo fotocopia. Cosa in tal quadro ci sarà da aspettarsi nella prossima legislatura, non è previsione di gran difficoltà.