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Le quinte colonne degli invasori

Opinionista: 

Cari amici lettori, non ci lasciamo distrarre dalle notizie meno importanti, come la prevista vittoria delle banche impersonate dal giovane Macron, altre vicende di giochini fra potenti, come la visita di Obama, e di scaramucce fra vassalli, come il viaggio della Boldrini in Africa e le manovre di Maria Elena Boschi. Nell’Evo Medio, quando le menti non erano ancora inquinate dall’ipnosi delle supercomunicazioni, la gente non si chiedeva chi sarebbe stato il prossimo imperatore ad Aquisgrana ma, piuttosto, come si potessero arginare le scorrerie dei pirati saraceni e se il raccolto sarebbe stato sufficiente a tener lontana la fame nel prossimo inverno. Restiamo, dunque, sulla seria faccenda delle Onge dei mercanti di carne umana. Com’era prevedibile, tutti i traditori della civiltà grecoromana- occidentale e giudaico- cristiana, in una parola del nostro mondo, hanno tuonato contro il procuratore di Catania, reo di aver portato a conoscenza del popolo bue ciò che a un certo livello tutti sapevano: l’invasione dell’Italia dall’Africa attraverso la Libia non è un fenomeno naturale ma un business a livello mondiale. Il Vaticano ha zittito l’Avvenire, che aveva opinato non potersi spingere la “misericordia” fino all’avallo di loschi traffici; “Medici senza frontiere” ha manifestato indignazione (meglio avrebbe fatto a dissociarsi da quelli che non sono andati a dare spiegazioni in Senato), i media politicamente corretti hanno chiesto dove sono le prove e i Servizi Segreti hanno smentito di aver stilato umn rapporto (ma, altrimenti, sarebbero servizi poco segreti). Si dà il caso, però, che un giornalista scriva di averlo letto e, in ogni modo, sono arrivate conferme da Frontex, dalla Marina Militare, da Malta e dalla “intelligence” libica. Sarà un caso che Soros si sia affrettato a far visita a Gentiloni? Come mai il capo del governo italiano è frequentato dall’ambiguo miliardario che contribuì attivamente a gettare l’Italia nel caos della crisi e nel baratro susseguente? Dovevano parlare di Alitalia, come ci hanno riferito i media politicamente corretti? O, piuttosto, il finanziere che si dice sia il motore del piano Kalergi chiedeva lo stop all’attività delle sette Procure che indagano sui rapporti tra le sue Ong e i criminali che scaricano nel Mediterraneo gli invasori prelevati da ogni parte dell’Africa? Ormai tutto il meccanismo è chiaro. A capo di tutto c’è una potenza multinazionale e a valle le tante filiali: quelle che propagandano nei paesi africani la grande migrazione, quelle che organizzano il viaggio in Libia, quelle che forniscono i fatiscenti mezzi d’imbarco, quelle che – in stretto contatto con le precedenti - “salvano i naufraghi”, quelle che (in alternativa) autorizzano e regolano lo sbarco clandestino in Italia. C’è, infine, l’indotto nostrano di tutti coloro che sulla “accoglienza” fanno quattrini e che inducono i loro rappresentanti politici a impedire che si pensi a combattere il traffico criminale. Criminale innanzitutto per la finalità, che è quella di annichilire l’Europa togliendole le sue tradizioni, le sue lingue, tutto ciò che integra la sua civiltà, per sostituire gli europei di ogni etnia con una massa indistinta e belante di consumatori dei veleni globalizzanti. Tutta la faccenda è certamente di competenza dell’Antimafia. La criminalità organizzata, infatti, non gestisce soltanto la tratta Libia – Italia (qui operano le organizzazioni con sede in Africa e in Italia), ma anche quella Medio Oriente – Italia: due giovani iracheni hanno descritto il loro allucinante viaggio, costoso (diecimila euro) perché gestito in collaborazione dalla mafia irachena, da quella russa e dalla ndrangheta calabrese. L’Antimafia, in persona del Procuratore nazionale Franco Roberti, ha chiarito, però, le difficoltà che alle indagini sul traffico sorgono dai sistemi di comunicazione criptati (prodotti da un consorzio che ha sede in Abu Dhabi) che i trafficanti usano e dalla mancanza di accordi con i paesi musulmani. Il problema, in ogni modo, non è giudiziario, è politico. Si tratta, infatti, di gestire una guerra e non soltanto un pocesso. L’Europa degli Juncker e dei Tusk, della burocrazia esperta nella misurazione di vongole e cetrioli, non ha saputo far altro che inventarsi le quote, giustamente rifiutate dagli ungheresi e non funzionanti per gli altri paesi, che in ogni modo preferiscono lasciare la massa degli invasori nelle terre di quegli stupidi italiani. L’Europa deve impedire tutto il losco traffico e l’Italia deve fare la sua parte. Ma questo non è possibile finché le quinte colonne del nemico operano sul fronte interno. Non è possibile finché l’Unione europea continuera a essere Eurabia e finché le strutture del tipo di Mafia capitale saranno trattate alla stessa stregua del Monte Paschi e delle altre banche tossiche.