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L’immagine moderna specchio della banalità

Opinionista: 

In ogni famiglia esistono ancora vecchi album fotografici. Foto in bianco e nero sbiadite nei contrasti e nella memoria. Indicano, per molti versi, la ritualità di quell’ appuntamento davanti all’ obiettivo. Allora, si scattava raramente. Solo, forse per solennizzare un momento importante, una trasferta rara, un’ occasione sicuramente speciale. C’è stata gente che, nel Novecento, a stento possedeva un ritratto che, talvolta, lo accompagnava, addirittura, fino alla lapide. Col nuovo secolo, la vera rivoluzione. Non più una foto ma migliaia di foto, in tutte le fogge, in tutte le pose, in ogni occasione. Al di là della diffusissima pratica del selfie, già frequentata in un nostro recente editoriale del gennaio scorso, la sensazione è che si fotografi ormai di tutto, in modo quasi ossessivo. Nei centri storici è una continua fiera della banalità. Non si fissa solo l’ immagine di un monumento, di una targa, di uno scorcio interessante ma anche la foglia del parco, il cane che passa, il nulla che si attacca ad un muro moderno. Queste prerogative, legate una volta ai cinesi, ai giapponesi, curiosi di interpretare un mondo occidentale per loro sconosciuto, ha, ormai, dilatato i suoi contorni, contagiando ogni turista, di qualsiasi censo e nazione. Spesso, osservandoli, mi chiedo sinceramente cosa c’è da fotografare. Li vedo fermi, davanti a me, concentrati su un orizzonte sconosciuto e oscuro, seriosi nel fissare l’ anonimato urbano. Dispongono spesso di lunghe aste retraibili, prolunghe che possono alzare o ampliare l’ immagine, un nuovo accessorio per il selfie familiare. Molti, tra l’ altro, fissano anche il piatto della pastasciutta, il drink consumato al bar, la pietra sulla quale stancamente si siedono. E la storia non finisce lì. Attraverso i ritrovati della tecnologia moderna, l’ immagine, spesso, rimbalza sui social network, perché ognuno sappia, valuti, interpreti. Ed i commenti successivi si sprecano, a pioggia. Inscenando la sagra della stupidità. Altro che ritratto unico, altro che immagini rare. Il cellulare consente, oggi, di centuplicare l’ offerta, di bloccare ogni attimo della propria vita per poi proiettarlo eternamente nel tempo, in una dimensione nuova che può essere ulteriormente mutata, cambiata, alterata senza confini, né limiti. Siamo vicini all’immortalità delle proprie immagini, dimentiche del bianco e nero, proiettate nei mille colori della quadricromia, aggrappate ad un presente che sembra già domani. In un Barnum confuso, dove ognuno recita a soggetto, sotto il tendone della banalità.