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Lo scandalo dell’Anm, un problema storico

Opinionista: 

Non senza produrre un motto di spirito, il Sindaco (non proprio da ieri) di Napoli, venendo da un incontro con il Presidente della Giunta Regionale sul tema della disastrata Azienda napoletana di mobilità, ha detto che per i cosiddetti lavoratori inidonei al servizio di trasporto "è finita la pacchia", i "furbetti" saranno immantinente licenziati. Sarà. Certo per ora è che è stato necessario l’Azienda si portasse sull’orlo del fallimento perché un problema di tal portata venisse alla luce (le conseguenze staremo a vederle). Perché d’un non lieve problema si tratta, sol che lo si guardi nelle sue esatte dimensioni. In pratica, circa 680 dei 2.700 dipendenti di Anm – azienda di trasporto – non sono idonei al servizio di trasporto. Oltre un quarto dei lavoratori, dunque, proporzione appropriata per un lebbrosario, non per un’impresa. Soprattutto una proporzione che non avrebbe potuto sfuggire a nessuno nella sua palese anomalia. A qualsiasi amministratore, dell’Azienda o del comune, sarebbe bastato leggere il dato – e magari confrontarlo con quello di analoghe imprese di altre città – per avvedersi che non potesse registrare una realtà fisiologica. Che insomma si trattava di un’abnormità: e dietro ciò che è abnorme ci sono sempre delle cause. Sulle quali non sarebbe stato poi tanto difficile indagare. Ed invece nulla. Oggi si mostra la faccia delle armi, si minacciano sanzioni (licenziamenti?), si grida allo scandalo. Ma fino ad oggi, fino a quando cioè è intervenuta la forza delle cose – la cosiddetta necessità fonte del diritto – ad rendere semplicemente impossibile la prosecuzione d’un tale immorale andazzo, fino ad oggi nessuno ha veduto, nessuno ha reagito, nessuno ha detto una parola. Come si spiega una tale situazione di lapalissiana non amministrazione? E deve anche trattarsi d’un problema assai vecchio e risalente (io ne sentivo parlare già un trentennio fa, quando frequentavo l’allora Atan), per avere assunto l’attuale proporzione. In realtà, si tratta d’un problema non vecchio ma storico, un problema storico a ben vedere del Mezzogiorno. Si tratta del modo in cui l’impiego pubblico, anche locale, è stato da noi vissuto dalla formazione dello stato unitario in poi. In estrema sintesi, un misto di clientela ed assistenzialismo, non saprei se con prevalenza dell’una o dell’altra componente, ma inclinerei a credere che abbia più contato la seconda per il suo consolidarsi. Il Mezzogiorno d’Italia è stato considerato un problema dalle élites nel tempo succedutesi – dapprima con prevalenza piemontese e toscana, poi con la totale solidarietà delle rappresentanze meridionali. Ma un problema, non da affrontare con serietà d’interventi finalizzati a favorirne il superamento e la naturale evoluzione, bensì come un groviglio irrisolvibile di questioni, che in sostanza era inutile provarsi seriamente ad analizzare e sciogliere. Cosicché, al fondo, si è pensato – salvo che in rari momenti d’entusiasmo – sempre ad assicurare misure per così dire di mantenimento, finalizzate a garantire alle masse una situazione di minimo benessere, di sussistenza assistita, senza tentar di coinvolgerle in processi d’elevazione civile e culturale: e soprattutto tenendole ben assicurate alla greppia del potere, in modo anche da poterle controllare alla bisogna, nel voto ed in altro. Tutto ciò ha diffuso una mentalità d’irresponsabilità, d’approfittamento, di disinteresse per le istituzioni e per tutto quanto rende cooperativa la vita in società. Così si spiegano fenomeni come l’assenteismo, l’abnorme percentuale delle invalidità, dell’impiego considerato come sinecura e via dicendo. La situazione dell’Anm, nella sua ispirazione di fondo, non si differenzia, ad esempio da quella dei dipendenti del Loreto Mare né da quella dei tanti e tanti casi di ingiustificata astensione dal lavoro o di strumentalizzazione indegna della famigerata legge 104. È un’unica cultura che sottostà a tutto ciò: il lavoro non è un impegno né tampoco un momento d’elevazione, è un fatto d’assistenza, conseguito spesso e volentieri per via clientelare che, a sua volta, è il miglior viatico perché il lavoro venga inteso come fatto d’assistenza. E tutto ciò ha creato invincibili abiti mentali: come mostra il fatto che perché tutto ciò possa sussistere è necessario vi collaborino in tanti, dalla politica, a chi opera nel luogo di lavoro, dove non si vigila mentre spadroneggia l’omertà, al mondo delle professioni, perché qualcuno dovrà pur certificare, fino a tutta la filiera dei controlli che non si verificano. Insomma, è fatto di cultura, perché i valori che indirizzano ciascuno nei comportamenti concreti, s’apprendono da quando si nasce, facendo esperienza. E l’esperienza che qui si fa è appunto questa.