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Napoli paga il pegno di non avere cantanti

Opinionista: 

«Sanremo è la festa del santo patrono, parlarne male è da stupidi »: bontà sua, lo ripete a ogni microfono che gli piazzano sotto al naso lo spodestato Maurizio Costanzo. Ex monarca della tv, e oggi amico di Maria pensionato su una radio privata. Domandarsi le motivazioni della difesa a oltranza è infantile. La ditta di casa fornisce al carrozzone della Rai la più alta percentuale di sedicenti “big” in gara, proveniente direttamente dalle file di Mediaset. Mentre l’altra impresa - quella che accredita lo stipendio sul conto dell’uomo coi baffi a corroborare il profluvio di parole in libertà scandite per il network - si sta impadronendo a man bassa del festivalone. Attraverso la produzione diretta dei “big”. Insomma, due industrie concorrenti di mamma Rai (pensate solo ai danari investiti dalla prima rete ogni sabato sera, per far fronte al ciclone De Filippi) che con la produzione più ambiziosa (e costosa) di viale Mazzini si arricchiscono. Perché raccontiamo tutto questo? Perché avendo scelto quella libertà di espressione che costringe a non avere danari da spartire con festival, Mediaset e compagnia cantante, scegliamo di essere noi i destinatari degli epiteti di Costanzo. E di vestire i panni degli stupidi. Sul festivalone noioso e normalizzato di Carlo Conti abbiamo molto da dire. E da ridire. Se il signor Costanzo Show loda la celebrazione del suo santino, da par suo Conti ha imbastito una festa di piazza inondata dal fumo acre della bistecca alla fiorentina. Al grido di battaglia, «la Toscana prima di tutto», ha affollato il palco dell’Ariston con i prodotti della sua terra. Come fossimo all’Expo. E chi ha finito per pagare pegno? Ma Napoli, ovvio: nell’intera Penisola, l’unico centro nevralgico della canzone che vanti un riconoscimento internazionale. Conti adesso deve spiegare a milioni di meridionali attaccati al video che non v’è un solo artista partenopeo capace di vantare potenzialità canore, espressive e comunicative di Fragola, dei Dear Jack, di Nesli, di Moreno. E deve farlo con cognizione di causa, evitando di provocare ilarità in chi ne ascolta le motivazioni. Perché a Napoli mangiamo pane, musica e arte: portarci in giro è difficile assai. Anche sulla commemorazione di Pino Daniele (lo ribadiamo: il più grande ricercatore di suoni, non solo popolari, a cavallo dei millenni) avremmo molto da ridire. Ringraziamo e mettiamo in cassaforte il sentimento usato dall’incolpevole Siani. Ma non basta. La vecchia guardia Rai: Pippo Baudo, Mike Bongiorno (e anche il più volte vituperato Fabio Fazio) avrebbero aperto le danze nel ricordo di Pino. E di Mango. Ma per Conti la scelta s’è rivelata troppo rivoluzionaria. O troppo meridionalista. Come scrivemmo due giorni fa? Ah sì: ma quale Festival della Canzone Italiana, bene fate a chiamarlo solo Sanremo. Con buon pace di Costanzo. E di noialtri stupidi.