Occorre lavoro ai giovani per sconfiggere la camorra
Un proiettile che perfora il petto ad una bimba di 4 anni non potrà mai essere liquidato come un “fatto ordinario”. Perché queste cose accadono solo in guerra, in una di quelle sporche guerre che i benpensanti credono si combattano solo lontano, molto lontano dalle loro belle case, a migliaia di chilometri dalle strade dove giocano le loro figlie. Ma la maschera di dolore della madre di Noemi non è molto differente da uno di quei volti disperati che ci guardano dalle foto di un reportage dalla Libia o dallo Yemen oggi, o dalla Siria ieri. E invece no. È accaduto a Napoli, in un pomeriggio qualunque, in una piazza qualunque, affollata da gente normale, non da miliziani coi kalashnikov, mercenari al soldo di chissà quale potenza straniera. E non è nemmeno la prima volta. Questa volta se ne parla di più, hanno scoperto tutti che siamo in guerra: si stanno affacciando molte cariche istituzionali in questa nostra disperata città perché i bambini sono la cosa più sacra che esista, sono innocenti, sono il nostro futuro, perché, insieme a Noemi, tutti noi lottiamo in un modo o nell’altro tra la vita e la morte. Come è potuto accadere? È successo perché anche qui è in corso una guerra, silenziosa, ma non meno orribile di quelle che combattono i “signori della guerra” dei paesi africani o mediorientali. Bande che si contendono il territorio per la droga o altri traffici. Questi criminali non hanno neppure il fascino dei soldi di Gomorra o di Pablo Escobar, ma in fondo sono dei banditi di Serie B, improvvisati, pronti a tutto, compreso quello di correre il rischio di uccidere un essere indifeso e incolpevole, di portare per tutta la vita sulla coscienza il peso di un fatto così atroce. Eppure sinora nessuno è riuscito a fermarli. È difficile anche voler dare la colpa a qualcuno: la responsabilità è di tutte le Istituzioni. Ciascuna di esse avrebbe potuto fare qualcosa, ma queste Istituzioni, evidentemente, non sono in grado. Napoli è totalmente abbandonata al suo destino, nelle Province le cose vanno ancora peggio. La Regione vive d’improvvisazione e promesse. Ferimenti, sparatorie, agguati avvengono quotidianamente, sotto gli occhi di tutti e senza interventi organici e strutturati: anche il sistema dell’informazione sembra considerare quasi normale questa realtà. Nemmeno ci si indigna più quando - appena ci si sposta fuori dalla Campania – si è costretti a fare i conti coi soliti luoghi comuni. Bisogna affrontare con polso, anche usando quelle stesse maniere forti che la criminalità organizzata utilizza contro la popolazione civile, la sfida dei clan. Serve che lo Stato torni a fare lo Stato, riprenda a controllare il territorio, riconquisti quelle “terre di nessuno” dove oggi non vige il sistema legale italiano, ma chi ci vive è costretto a seguire altre regole. Servono più uomini, più mezzi e tecnologia, forse l’esercito con strumenti adeguati, ma serve soprattutto un progetto: quello che dia corpo alla speranza di una rinascita e di un riscatto. Occorre la forza di un’azione politica virtuosa e competente che sappia utilizzare le risorse a disposizione e programmare quelle che verranno (a partire dai 12 miliardi della nuova programmazione dei Fondi Europei). Manca una visione del futuro. Lo Stato non vincerà mai la camorra senza offrire alternative ai giovani e a chi il lavoro lo ha perso, senza creare occasioni di sviluppo. I Cinquestelle, un anno fa, hanno ottenuto percentuali altissime da queste parti, superiori in alcune aree al cinquanta per cento, ma non hanno saputo tradurle in alcun provvedimento utile a farci risalire la china. Come unica misura a favore del Sud hanno prodotto questo mini-reddito di cittadinanza, che purtroppo rischia di essere soltanto una misura di sostegno, temporanea, che non creerà nemmeno un nuovo posto di lavoro. Non va. Il sistema Campania non può continuare a reggersi su assistenzialismo e interessi personali, o vivere di iniziative virtuose come, per esempio, quella per i giovani della Sanità di Padre Loffredo. È necessario imporre le ragioni della nostra terra a un Paese troppo distratto, innanzitutto nei confronti dei nostri giovani e della loro speranza di restare qui. Serve altro. Servono percorsi formativi finalizzati all’assunzione e concordati con le aziende, valorizzare l’apprendistato e i mille mestieri della nostra tradizione. Serve favorire l’accesso al credito delle piccole imprese. Serve ridurre il costo del lavoro. Servono strumenti per rilanciare l’edilizia. Ma, prima di tutto, bisogna iniziare a premiare chi dalle nostre parti fa le cose sul serio e a combattere chi imbroglia. E bisogna farlo subito. Per evitare che domani tocchi ad un’altra Noemi. Serve altro, come si fa quando si combatte una guerra. Si faccia come si è sempre fatto, come accaduto anche alla fine della Seconda Guerra mondiale. Di fronte a un’Italia occupata dai tedeschi, il 9 settembre 1943, i principali partiti e movimenti politici del Paese si unirono nel Comitato di Liberazione Nazionale: comunisti, liberali, cattolici e personalità di tutte le sensibilità diedero battaglia insieme. Vinsero insieme, poi tornarono a combattersi nelle urne con gli strumenti della democrazia. Oggi Napoli e la Campania sono occupate dalla criminalità organizzata, resa più forte dall’incapacità di chi governa. Noi apriamo il tavolo delle persone perbene unite dalla comune volontà di liberare i napoletani e i campani da questa morsa. Chi ci sta è il benvenuto.