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Poltrone e barelle, la sanità indecorosa

Opinionista: 

Come di consueto, il canovaccio della propaganda per le prossime elezioni in Campania ha sciorinato il suo cavallo di battaglia, il problema della sanità malata ed inadeguata, il suo famigerato turn-over, e la colpevole disattenzione del Governo verso una regione amministrata in questi ultimi anni, in modo così consapevole e responsabile.

Alla fine del suo mandato, e rilanciando la propria prevedibile ricandidatura, se ne è ricordato Stefano Caldoro. Evidentemente i malumori e i sussurri velenosi, nel centrodestra, di coloro che, guardando interessati agli equilibri instabili delle poltrone governative, hanno ipotizzato e sponsorizzato una candidatura unitaria con il Pd, anche in Campania, rispolverando un pensionato politico al Cnr, come Nicolais, hanno stuzzicato il sonnacchioso e aziendalista governatore di Forza Italia, il suo attuale partito di comodo, e lo hanno indotto a lanciare messaggi, critiche e accuse non troppo velate al governo centrale ed al ministro Lorenzin, concentrando nella parola turn-over la pietra angolare e la panacea della soluzione del dramma sanità in Campania.
La mossa è stata buona, tanto da aver ricevuto garanzie di stima per la sua prossima campagna, e nel contempo ha spostato la materia del contendere su un argomento che ha invitato a nozze i suoi avversari politici, da sempre, per struttura mentale e backround ideologico, convinti del miracolo ottenibile con l'applicazione del turn-over, evitando così una più attenta e critica disamina del suo operato nella galassia sanità, insieme a Calabrò e collaboratori.
Lo sblocco del turn-over è importante, è uno step essenziale ma non esistenziale per la nostra sanità, che più di ogni altra in Italia, ma in linea con la maggior parte delle regioni meridionali ed insulari, soffre e patisce una organizzazione manageriale delle proprie Asl troppo collegata al gioco delle poltrone disponibili, che evidenzia in estremo la provvisorietà e la sconfitta del centralismo assistenziale, della cultura delle megacattedrali, che coinvolgendo nella propria struttura una "paccottiglia" di reparti, sottosezioni e servizi, alcuni dei quali pedissequi doppioni di altri soltanto per "sistemare" il proprio primario di riferimento, riescono ad ottenere, grazie a tale padrinaggio politico e una generica e generosa fama di "strutture pilota e d'eccellenza", contributi economici esagerati, dispendiose donazioni e di conseguenza un intasamento assistenziale abnorme che in definitiva offre soltanto un'immagine di degrado, privo di qualsiasi decoro e umanità.
Ed ecco puntuali e ingrate, le notizie di questi giorni, i dolori incomprensibili di famiglie, di madri, e le immagini sconfortanti ed inconcepibili di ospedali di alto livello ed ineludibile riferimento assistenziale sul territorio, quali Santobono e Cardarelli.
Ma queste cattedrali di prima grandezza non sono forse gestite, animate e vissute da esseri umani? Sono forse costoro migliori, magari per censo o per situazione logistica,  a differenza della maggioranza silenziosa di coloro che lavorano, con ben più pericolose problematiche, in ospedali di frontiera, di periferia, piccole realtà senza alcun sostegno regionale, anzi indiziate da tale governo come prime vittime da sacrificare sull'altare dell'auspicato concentramento di reparti e servizi d'alta qualità? Siamo proprio certi che la loro decantata esperienza professionale, fosse anche per una mera valutazione statistica, sia talmente diversa da quella, coinvolgente, perigliosa, ma più umana e sodale, dei colleghi "esiliati" in poveri presidii ospedalieri?
La cronaca e la realtà dicono di no, e se di malasanità si tratta, questa non sembra avere un domicilio preferito!
La sanità è come un attributo qualificativo di un'area territoriale, è il corollario essenziale per una crescita civile di una comunità, che non può e non deve ridursi a un coacervo di quartieri, periferie e megalopoli metropolitane, ma deve riconquistare il proprio ruolo primario nel connettivo abitativo e umano di una città, perciò come tale dovrebbe intraprendersi un cammino inverso all'attuale, e riconoscere il fallimento di una politica sanitaria accentrativa, dismissiva di piccoli centri ospedalieri, consoni e complementari alle aree di appartenenza, che ha gratificato alla fine soltanto i politici procacciatori di poltrone e di profitti per una sfilza di manutengoli di segreteria, senza alcuna valenza professionale, se non quella di garantire il territorio del proprio padrino di riferimento.
Ma la storia non finisce qui, la prossima apertura del megagalattico Ospedale del Mare, sontuosa cattedrale nel deserto di un quartiere declassato e dimenticato, costato decine di milioni di euro più del previsto, apre un altro capitolo nella vergognosa gestione della sanità campana.
Ma il turn-over salverà tutti noi, come in una squadra di calcio, anche se il gioco nella povera sanità spesso è mortale.
                                                                                                  Pasquale Mastrangelo