Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Povero referendum abusato e svalutato

Opinionista: 

Non accenna ad attenuarsi la disputa sull’esito del “referendum delle trivelle” che, a parere dei sostenitori di Matteo Renzi, deve essere considerato come un clamoroso insuccesso dei contestatori del presidente del Consiglio mentre, secondo questi ultimi deve far squillare un campanello d’allarme a Palazzo Chigi in vista del “grande referendum” sulla riforma della Costituzione che si svolgerà in ottobre. Ora ci sembra che, al di là delle interpretazioni di parte, come sempre ingannevoli, sia forse opportuno fare un po’ di chiarezza sul reale significato della consultazione della scorsa domenica. È fuor di dubbio che, se la variegata schiera di coloro che vorrebbero mandare quanto prima a casa il premier, puntava sull’appuntamento referendario per raggiungere il proprio obiettivo, ha clamorosamente fallito il suo scopo anche perché oltre il 65% degli elettori che ha scelto di disertare le urne non ha aderito al progetto del “Renzi subito a casa”. E a costoro non può non sommarsi il 14% circa dei votanti che ha scelto il “no”. Insomma, per ora, l’opposizione ha fatto “flop” anche perché - diciamolo francamente - l’argomento prescelto per portare l’attacco a Renzi non era dei più idonei. Non vogliamo, sia chiaro, sottovalutare il “problema trivelle” che investe rilevanti questioni ecologiche, ma non ci sembra che esso sia tale da indurre alla mobilitazione la pigra maggioranza dei cittadini elettori del nostro paese che già da molto tempo ha fatto mostra di prediligere la strada dell’astensionismo. Quest’ultima considerazione ci porta ad una riflessione di fondo sul valore e sul significato della consultazione referendaria. Dopo un’ampia discussione i padri costituenti accolsero l’istituto del referendum nel nostro ordinamento istituzionale anche se molti denunciarono la sua contraddittorietà con un sistema rappresentativo qual è il nostro. Ne rimarcarono, tuttavia, il carattere di eccezionalità, tant’è che, nel campo della legislazione ordinaria, lo previdero soltanto nella forma dell’abrogazione di una legge o parte di legge, condizionandolo a requisiti di validità che ne rendono difficile l’utilizzazione. Eccezionale, per converso, ci sembra dovrebbe essere considerata la materia della quale fare oggetto la consultazione. Viene naturale chiedersi, alla luce di queste considerazioni, se il tema delle trivelle avesse connotati reali di eccezionalità, tali da indurre a far ricorso ad un istituto in qualche misura anomalo rispetto alla forma della democrazia rappresentativa alla quale la nostra Carta costituzionale si ispira. E se fosse giustificata la spesa di quattrocento milioni di euro, poco più, poco meno, che esso ha comportato, anche a causa dell’assurda decisione di non accorparlo alle prossime elezioni amministrative. Non vogliamo, con questo, sottovalutare il problema posto dal quesito referendario. Vagliare l’opportunità di cancellare o meno la norma che permette alle società petrolifere di estrarre, senza limiti di tempo, gas e petrolio entro le dodici miglia marine delle coste italiane, è certamente importante anche per salvaguardare i mari italiani dai negativi effetti della “caccia” al petrolio. Ma, francamente, ci sembra si tratti di un argomento del quale si sarebbero dovuti e si dovrebbero occupare Parlamento e governo, valutando i pro e i contro (compito per il quale sono indispensabili competenze tecniche delle quali non tutti possono essere forniti) senza bisogno di far diretto ricorso al popolo. È stato detto più volte che, per limitare l’eccessivo ricorso al referendum, sarebbe opportuno aumentare, sino a raddoppiarlo, il numero delle forme necessarie per promuoverlo. A noi sembra, tuttavia, che sarebbe soprattutto necessario trovare il modo di limitare gli argomenti dei quali può essere oggetto. Pensiamo che esso dovrebbe essere riservato a questioni che investono direttamente le coscienze dei singoli (vedi i referendum sul divorzio e sull’aborto) e a temi riguardanti l’ordinamento istituzionale. Ma si tratta, lo sappiamo, di una limitazione che richiede il senso di responsabilità dei partiti che sono, alla resa dei conti, i grandi collettori delle firme necessarie a promuovere la consultazione. E allora…