Quando il fascismo è il “male assoluto”
È del tutto normale che lo affermino i professionisti dell’antifascismo. I vari Flores d’Arcais, Tabucchi, Travaglio, Santoro, Scalfari, Cordero, Scanzi, Saramago, Fo e altri “compagni”. Epperò è deplorevole che lo dicano certi epigoni del fascismo (Gianfranco Fini, tra gli altri), politicanti assai modesti, che non hanno lo stesso spessore politico, morale e culturale di quelli che l’hanno creato. È evidente che, essendo ignoranti, non sanno che Filippo Tommaso Marinetti, l’ideatore del Futurismo, scrisse nel 1919 il programma dei fasci di combattimento, fondati a Piazza San Sepolcro. Glielo ricordo. “La terra ai contadini, la rappresentanza operaia in seno alla direzione delle fabbriche, una imposta progressiva sul “capitale”, un inasprimento delle tasse di successione, la nazionalizzazione delle industrie degli armamenti, un minimo salariale e una indennità di disoccupazione fissati per legge, il voto alle donne, un decentramento amministrativo e l’abolizione del Senato (pag. 64 di “Mussolini” di Dennis Mach Smith, che spiega perché andato al potere Mussolini non potè attuarlo). Perciò è sorprendente che ne ricordino le “benemerenze” e che smentiscano la leggenda del “male assoluto” proprio gli antifascisti più rigorosi. Ne cito solo tre per brevità. Gian Antonio Stella, famoso opinionista del Corriere della Sera, ha espresso la sua indignazione su Sette del 31 luglio scorso per la morte del sudanese Mohammed “assassinato l’altra settimana a Nardò dal caldo, dalla fatica, dallo sfruttamento schiavista”. E ha ricordato le “ Disposizioni di S.E. Achille Starace, segretario nazionale del Pnf, del 17 maggio 1937. Quale misura precauzionale contro i casi di insolazione, i datori di lavoro sono tenuti a fornire ai lavoratori e alle lavoratrici cappelli di paglia di dimensioni adeguate allo scopo e ad erigere in aperta campagna, sui posti di lavoro, ripari con pali e frasche sotto i quali, nelle ore di caldo eccessivo, i lavoratori possano riposare e consumare il pasto”. E per evitare di sembrare un “nostalgico del passato regime” si è affrettato a condannare “la dittatura, il culto del Duce, l’infamia delle leggi razziali e il disastro della guerra”. Leonardo Sciascia ha scritto a pagina 62 del suo “Il giorno della civetta” quanto segue: “La Sicilia è stata la regione che, sola in Italia, dalla dittatura fascista aveva avuto in effetti libertà, la libertà che è nella sicurezza della vita e dei beni. Quante altre libertà questa libertà era costata i siciliani non sapevano e non volevano sapere: avevano visto sul banco degli imputati, nei grandi processi delle assise, tutti i don e gli zii, i potenti capi elettori e i commendatori della Corona, medici ed avvocati che si intrigavano alla malavita o la proteggevano; magistrati deboli o corrotti era stati destituiti; funzionari compiacenti allontanati. Per il contadino, per il piccolo proprietario, per il pastore, per lo zolfataro la dittatura parlava questo linguaggio di libertà”. Sciascia non lo cita ma è evidente il riferimento al prefetto di ferro Cesare Mori che debellò la mafia siciliana con i poteri datigli dal fascismo. Corrado Augias ha scritto sul Venerdì di Repubblica del 23 gennaio 2009: “La bonifica delle paludi pontine sono un titolo di merito del fascismo sul quale noi giovani di sinistra, negli anni in cui il confine fra torto e ragione sembrava così certo, abbiamo ingiustamente sorvolato. Sbagliando, come riconoscono oggi molti antifascisti. Al Duce per quella bonifica bisogna rendere grazie non foss’altro perché, morto lui, nessun altro l’avrebbe più fatta. Allargo il discorso per dire che l’architettura fascista, quel razionalismo mediterraneo a lungo esecrato e lo stesso urbanismo fascista, è stata l’ultimo esempio, su grande scala, di una pianificazione studiata e messa in pratica da un governo serio e responsabile”. Credo che sarebbe stato un bene per il Paese se gli epigoni del fascismo (i nomi sono notissimi) avessero avuta la stessa “statura politica” di quelli che lo fondarono. Non resta che confidare nelle nuove generazioni per attuare il programma del 1919.