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Quel silenzio disperato di anziani senza tempo

Opinionista: 

C’era una volta il consiglio degli anziani, non soltanto quello statutario, politico e governativo delle antiche città-stato, dei reami, delle repubbliche quando la parola “senato”, ad esempio, aveva una Valenza istituzionale ed un profondo significato consultivo. C’era il “consiglio” degli anziani, privato, familiare, come risorsa indeclinabile di esperienza culturale, sagace custodia di tradizioni, di sconfitte e vittorie, sottile ma solido filo conduttore fra passato e presente, riferimento e porto sicuro per le nuove generazioni. Una incubatrice affettiva, un abbecedario sicuro per giovani virgulti. Da tempo, ormai, osserviamo lo sgretolamento dei rapporti fra giovani ed anziani, lo sfilacciamento di un confronto generazionale che pur attraverso periodi di contestazioni, incomprensioni ed antagonismi ideologici aveva mantenuta viva e vitale la crescita identitaria della nostra società. Il nostro non è un Paese per vecchi, è una sgangherata ed improduttiva “casa di riposo” per anziani chiusi in un disperato silenzio, coartati in una prigione mentale, additati come l'unico impedimento della “crescita” occupazionale, dell'incerto futuro, di una natalità zero che vedendo svuotare le aule delle scuole primarie non contribuisce a tramandare i valori umanistici e storici del nostro Paese. Perfino l'antipatico garantismo protezionistico ereditario, completamente rivoltato ai giorni nostri, in questa quarta o quinta o inutile Repubblica, come ha notato Scalera nel suo ultimo Arsenale, non ci rende giustizia. Anzi sembra offrire l'immagine peggiore della labilità di legami familiari, prontamente disconosciuti! Com'è che si dice? Le colpe dei padri non possono ricadere sui figli. Ma i “padri” di questo deserto esistenziale, di una tale completa ricusazione della voce dell'esperienza, sono i governi succedutisi da più di vent'anni ad oggi, con la loro costante azione erosiva di valori etici e culturali, per il semplice gusto di denigrare l'operato dell'avversario di turno, con lo scopo di “rottamare” per offrire altri padroncini, piuttosto che nuove idee. Così hanno fatto ricadere la colpa sui figli, quelli del tempo appena passato e gli attuali. È un Paese di vecchi “gestito”da giovani senz'arte né parte, con l'unico desiderio di arraffare quel poco che c'è da raschiare sul fondo del barile. Si vedono intorno ovunque, divisi equamente fra due categorie di pensiero. Quelli che fuggono, scegliendo una pensione al limite della dignità, stanchi dello scontro generazionale e delle prevaricazioni sul posto di lavoro e gli altri, costretti per età, a lasciare il lavoro, diseredati, che vanno ad infoltire la massa di candidati ad un ischemia cerebrale o un'inevitabile atrofia psicofisica. A parte la “nicchia” scandalosa delle pensioni d'oro, la percentuale di rientro di costoro, anche se da una porta secondaria, nel mondo del lavoro utile e produttivo, è insignificante. Nella liturgia moderna dell’“usa e getta”, stanchi di panchine arrugginite ed incrostate dagli escrementi dei piccioni, disdegnano perfino la siesta mattutina dietro improponibili occhiali da sole o sguardi sospesi ed ammiccanti sulla natura umana. Chi ha la fortuna di essere nonno smette la vociante partita a carte sul muretto assolato, per incontrare fuori scuola o a casa gli ultimi arrivati di una famiglia, spesso allargata o dissestata. In un'ultima parvenza di utilità, si gode le grida di gioia e la spensieratezza dell'infanzia, ma non dura molto. All'improvviso ti assale quel senso d'inadeguatezza, di consapevole superfluità, di smarrimento espressivo di fronte a quelle "armi improprie e deterrenti" che compaiono in mano ai nipoti: il tablet, il cellulare o quegli aggeggi pieni di tasti e pulsanti. Non c'è più dialogo, non ci sono storie da raccontare, nè la complicità delle affabulazioni e nell'estremo tentativo di salvare la tua dignità, chiedi di capire di cosa si tratta. Non c'è tempo, perchè l'impazienza dell'infanzia è l'unica regola immutabile: se non apprendi subito, sei fuori dal gioco! Allora ripensi alla stupidità algoritmica delle statistiche sulla durata, sulla qualità della vita, nonostante le barriere materiali e culturali che continui ad incontrare quotidianamente. Scegli il silenzio, ti affidi alla solitudine dei tuoi pensieri, nella speranza che i tuoi orizzonti sconfiggano il tempo.