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In questo referendum stanno sbagliando tutti

Opinionista: 

La battaglia sul referendum del prossimo 4 dicembre impazza nelle piazze, sugli schermi televisivi, nelle sedi dei partiti dove i fautori del “no” e quelli del “sì” si scontrano trasversalmente, nei convegni, nelle tavole rotonde, persino all’interno delle famiglie. Da tempo, attorno alle vicende della vita politica, non si registrava tanto fervore, mentre i sondaggi lasciano intravedere che il risultato sarà sul filo di lana, deciso – quasi certamente - da coloro che ancora oggi appaiono indecisi sulla scelta da compiere. Tanta animazione (tutto sommato positiva, se si considera quanto negli ultimi tempi sia andato crescendo il fenomeno della disaffezione) induce a più di una riflessione. Senza voler prendere posizione per l’uno o l’altro schieramento, non possiamo non rilevare, ad esempio che, se risulteranno vincitori, i sostenitori del “no” non potranno più esercitare uno dei diritti dei quali gli italiani sono soliti fare largo uso: il diritto al mugugno. Ci spieghiamo. Come, dopo l’esito referendario da loro auspicato, coloro che si sono pronunciati per il “no” potrebbero lamentarsi dei costi eccessivi della politica, del numero troppo elevato di parlamentari, della lentezza che il bicameralismo perfetto che caratterizza il ostro sistema attuale impone al processo legislativo? Quanti – e ci riferiamo soprattutto agli addetti ai lavori – dicono che, bocciata la riforma “renziana”, una nuova e migliore riforma sarà pronta in sei mesi, sanno perfettamente di non essere nel vero. Più di trent’anni di tentativi parlamentari per aggiornare la nostra Carta costituzionale sono andati a vuoto e nulla induce a ritenere che sia possibile ora raggiungere in breve tempo una maggioranza in grado di varare una nuova riforma. Il secondo dato che emerge dall’andamento della campagna elettorale in corso, riguarda direttamente il Pd, che più drammaticamente la sta vivendo. Ebbene, i “democratici”, qualunque sia l’esito della consultazione, ne usciranno con le ossa rotte. Come sarà possibile ridare unità a una forza politica che si è così profondamente divisa su un tema di fondo qual è quello della riforma delle istituzioni? Come sarà possibile, per chiunque vinca la partita, sia Renzi, sia i suoi contestatori, sanare le lacerazioni che si sono determinate in questi mesi? Come sarà possibile superare i rancori, il malessere, il malanimo che si sono andati in questo mese accumulando tra le diverse anime del partito? Chiunque vinca avrà il piombo nelle ali, con tutte le conseguenze che questo comporta. In queste condizioni era inevitabile che l’ultima riunione della direzione offrisse l’immagine di un partito giunto alle soglie della scissione. Un’altra riflessione concerne la strumentalizzazione del referendum fatta dalle forze politiche. Lo ha strumentalizzato Renzi trasformandolo all’inizio (quando era convinto di vincere a mani basse) in un plebiscito sul suo nome, salvo poi, a far marcia indietro, quando si è reso conto che la sua non era la strategia migliore e che la vittoria era tutt’altro che scontata. Lo hanno strumentalizzato gli avversari del presidente del Consiglio che hanno trovato nel “no” a Renzi un elemento unificante, pur essendo, ovviamente, divisi su tutto cosicché la loro eventuale maggioranza sarebbe quanto mai fittizia. Del resto la strumentalizzazione è apparsa evidente quando la minoranza del Pd, dopo aver sollecitato, in cambio di un’attenuazione della sua opposizione nel referendum, un’apertura del premier sulla modifica della legge elettorale, una volta ottenuta quest’apertura, ha comunque ribadito, con ancora maggiore determinazione, il proprio “no”. Insomma, nell’impostazione di questo referendum hanno sbagliato tutti, coinvolgendo nelle loro manovre fatte di meschine rivalità (il riferimento a Massimo D’Alema non è assolutamente casuale) la stessa opinione pubblica che, come attestano i sondaggi che ancora fanno registrare un elevato numero di indecisi, appare frastornata e confusa. Stando così le cose, è lecito chiedersi quali scenari si prospettino nella vita politica del nostro paese dopo il voto del 4 dicembre. Tutto, purtroppo, induce a pensare al peggio.