Se onestà e trasparenza sono soltanto slogan
Echeggia ancora, nelle piazze italiane, quel grido "Onestà ! Onestà!" Che i seguaci del Movimento Cinquestelle lanciavano al cielo. Quasi fosse il loro vessillo, il loro stendardo, il simbolo della loro battaglia e della loro stessa ragion d'essere. È stata questa nobile parola - onestà - pronunciata quasi come un'invocazione, interpretando l'ansia di trasparenza e di pulizia della gran parte degli italiani, l'arma che ha consentito agli adepti di Beppe Grillo di ottenere una clamorosa vittoria nella competizione elettorale dello scorso 4 marzo. Ma ora? Dopo i risultati dell'inchiesta giudiziaria sullo stadio della Roma calcio - ennesimo colpo di maglio assestato sulla credibilità e l'onorabilità di quella che è, in tutti i sensi, la più disastrata capitale d'Europa - ha ancora senso quel grido? Possono ancora i seguaci dell'ex comico genovese presentarsi all'opinione pubblica come i paladini della limpida e corretta amministrazione? O il mito della loro "purezza" è stato infranto e le vicende romane segnano l'inizio dell'inarrestabile declino di un movimento che avrebbe dovuto dare avvio ad un nuovo corso della politica italiana e che sembra, invece, ripercorrere vecchi sentieri già tristemente seguiti da altre forze? Ad alimentare questi dubbi e questi interrogativi concorre la non peregrina ipotesi che, in realtà, quanto accaduto a Roma, non sia che la punta dell'iceberg di un sistema che solo una ben congegnata operazione mediatica ha potuto far apparire i cinquestelle come gli interpreti più credibili del desiderio di cambiamento che pervade l'elettorato italiano. Il fatto è che i cinquestelle sono condizionati da una sorta di peccato originale: un conflitto d'interessi di fronte al quale impallidisce quello che da sempre è stato usato come una clava contro Silvio Berlusconi senza, peraltro, che i partiti fossero in grado di trovare per esso una valida soluzione. Caso più unico che raro, il Movimento cinquestelle è sostanzialmente proprietà di un'azienda, la "Casaleggio associati", fondata da Gianroberto Casaleggio ed ereditata da suo figlio Davide. Questa azienda, tuttavia, non gestisce la politica del partito che è affidata alla cosiddetta "piattaforma Rousseau", un'associazione privata che fa capo a Davide Casaleggio, della quale non si sa molto, ma che è una sorta di "cervello " del Movimento e anche il punto di raccolta delle donazioni degli associati. Suo scopo specifico è quello di promuovere lo sviluppo della "democrazia digitale". Non vogliamo qui entrare nel merito dei rapporti tra la "piattaforma Rousseau" e la "Casaleggio associati". Quest'ultima, tra l'altro, ha minacciato tuoni e fulmini contro coloro "che continueranno intenzionalmente e pubblicamente a confondere le due associazioni". Si tratta quindi, di organizzazioni distinte, ma il cui rapporto non costituisce - ci sia consentito rilevarlo - un modello di trasparenza. Quel che è, comunque, preminente è che alla base del Movimento - e i fatti lo stanno ampiamente dimostrando - esistono intenti speculativi se è vero - ed è vero - che un'azienda ha, per definizione, obiettivi di carattere economico e che le invocazioni all'onestà e alla trasparenza appaiono soprattutto slogan efficaci e di sicura presa, ma non sono legati ad alcun modello di gestione della cosa pubblica e men che meno ad un'ideologia, neppure a quella populista con la quale i sostenitori del duo Grillo- Casaleggio si sono autoetichettati. La politica, quella vera, è altra cosa: è passione, è impegno, è partecipazione, è idealità. La "democrazia digitale" che ci vien proposta, al di là della propaganda, è cosa diversa. Non è un caso, allora, che i sondaggi rendano noto che i pentastellati vengano, allora, superati dalla Lega di Matteo Salvini, interprete degli umori peggiori del Paese. Ma questo è argomento del quale metterà conto tornare ad occuparsi per le notevoli implicazioni che comporta.