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Tra i due mali scelgo il tre, numero perfetto

Opinionista: 

Cari amici lettori, i più affezionati fra voi avranno certamente notato come più di una volta mi sia capitato di sviluppare un discorso e di applicarlo poi su grande e piccola scala, sia a problemi planetari sia a fatterelli locali. La cosa non può destar meraviglia, poiché vi è una naturale corrispondenza fra grande e piccolo, come appare evidente confrontando i sistemi solari con quelli atomici. Il discorso di questa settimana rende omaggio a un nostro conterraneo, il sommo Pitagora che, pur essendo nativo di Samo, visse e insegnò nella Magna Grecia, cioè nel Regno. È un discorso di numeri: il due e il tre. Il due, primo e progenitore di tutti i numeri pari, esprime le antinomie ed impone le scelte: tra il vero e il falso, il bene e il male, l’amore e l’odio, la vita e la morte, il maschio e la femmina tertium non datur (con buona pace di Veltroni e dei sostenitori del gender). Ritroviamo il due persino nell’insegnamento di Cristo, il quale, nel discorso della montagna, disse: “Sia invece il vostro parlare sì sì, no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Il tre, tuttavia, è numero perfetto: il cristianesimo adora la Santissima Trinità, l’induismo la Trimurti. Prudenza e temperanza, due delle virtù cardinali, impongono poi di considerare, nella realtà quotidiana, che in medio stat virtus. La complessità del reale, rispetto alla semplicità dell’astrazione in cui vivono le idee e i principii, m’induce, nelle questioni concrete, a prediligere il tre. È indubbio, infatti, che bene e male integrino un’alternativa semplice, ma il male si esprime quasi sempre in più forme apparentemente o realmente diverse tra loro. Veniamo al sodo, cominciando dal problema planetario. Lo scontro di civiltà in atto vede, apparentemente, due fronti contrapposti: Occidente e Islam. L’Islam, a dispetto delle apparenze, è un blocco unico. L’Occidente, anch’esso smentendo le semplificazioni politicamente corrette, non lo è per nulla. Cominciamo dall’Islam, che appare frazionato in due entità principali, sunniti e sciiti. Non ci interessa qui risalire alla problematica della successione a Maometto, da cui nacquero la frattura e lo scontro, tuttora perduranti con le relative guerre e stragi. Né ci interessa l’esistenza di piccole minoranze, come i sufi, che concepiscono la jihad non come guerra di conquista e conversione o sottomissione degli infedeli, ma come sforzo individuale di realizzazione metafisica. E’ vero che le due confessioni islamiche sono ferocemente contrapposte quasi da un millennio e mezzo (al confronto le sanguinose guerre di religione fra cristiani nel XVI secolo appaiono quasi delle scaramucce), ma ciò che più conta (e accomuna le due fazioni) è la convinzione che la società umana debba essere confessionale. Nei paesi islamici la laicità è un concetto inimmaginabile e laddove gli accidenti della storia facciano sorgere uno stato laico (come la Turchia kemalista), questo ha breve durata (il fondamentalista Erdogan ha spazzato via dopo meno di un secolo le riforme di Kemal Ataturk). La sharia, con tutte le sue aberrazioni, vige allo stesso modo nell’Arabia sunnita e nella Persia sciita e non tollera fedi diverse da quella islamica. L’Occidente, al contrario, è vittima di un laicismo esasperato che ne sta distruggendo le radici e la volontà di sopravvivenza. Il culto del vitello d’oro sta assoggettando i popoli a un gruppetto di magnati: costoro vogliono un villaggio globale sotto certi aspetti simile alla Umma islamica ma ancor più perversa, perché tende, da un lato, a distruggere le singolarità dei popoli sottomessi e, dall’altro, a scacciare la divinità per insediarsi al suo posto. Questo dualismo va negato. Io non sono disposto ad accettare né l’Islam né il laicismo. L’Occidente o è cristiano o non è: ricordiamo che lo stato confessionale è un accidente nella storia bi millenaria del cristianesimo, che riconobbe l’Impero Romano e il Sacro Romano Impero, la teoria medioevale dei due soli e il moderno stato laico. Gesù Cristo affermò “Il mio regno non è di questa terra” e “Date a Cesare quel che è di Cesare”, concetti inimmaginabili per un musulmano. D’altra parte negare Dio e impedire il suo culto (come fecero i regimi comunisti e si avviano a fare i laicisti contemporanei) è la cosa più infame che possa immaginarsi e il tentativo di sostituirsi a Dio fu già attuato da Lucifero e dai costruttori della torre di Babele. Il punto è che il bene è uno solo, ma i mali possono essere molteplici. No, quindi, alla scelta fra i due mali. Tertium datur ed è l’Occidente laico con le sue profonde radici cristiane e la molteplicità dei popoli con i loro antichissimi usi e costumi. Dicevo all’inizio che gli stessi concetti vanno applicati anche al microcosmo che, nel caso di specie, è la nostra meravigliosa e sventurata città. Io auspico che Napoli possa uscire dal profondo baratro in cui è stata precipitata e uscire a “riveder le stelle”, come si esprime il divino poeta alla fine dell’Inferno. Non è possibile, allora, che si proponga, come insistentemente fanno taluni, ivi compresi i media di regime, una scelta fra due personaggi che hanno già dato pessima prova di sé. Ricordiamo che la terra dei fuochi è opera di Bassolino, il quale era anche commissario governativo per la bonifica e invece ha accumulato le mefitiche ecoballe? Ricordiamo che la Corte dei Conti ha condannato Bassolino al risarcimento di tre milioni di euro per i danni causati ai contribuenti? Ricordiamo le vicende delle regate volute da de Magistris? Ricordiamo i concerti a pagamento in Piazza Plebiscito con gli sconti per l’occupazione di suolo pubblico? Continuiamo ad aspettare inutilmente un autobus, a cadere nelle buche, a vedere l’orrore dello spartitraffico bianco e rosso in via Caracciolo, non certo compensate dalle luminarie natalizie paesane sulla facciata di Palazzo San Giacomo? Ci vuole allora un sindaco nuovo. Anche qui tertium datur: non sia Bassolino né de Magistris.