Tra unioni civili e professioni di fede
La manifestazione a Roma di sabato mattina al Circo Massimo ha usato toni forti ed anche minacciosi per opporsi all’approvazione del disegno di legge sulla disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili. Ha usato l’arma dell'anatema, il leader dell'organizzazione Pandolfini rivolgendosi alla classe politica, quello del "verrà il giorno in cui ve ne pentirete", presagendo magri voti cattolici nell'urna elettorale per i fautori della legge. Non è stata una bella manifestazione di civiltà, a quel che credo, e per varie ragioni. Ogni buon giurista sa bene che quando un fenomeno non antisociale assume dimensioni imponenti, non è possibile né giusto e corretto, lasciarlo fuori della protezione del diritto e privo di regolamentazione. Il fenomeno qui in questione è quello delle coppie dello stesso sesso che decidono di stabilire un rapporto duraturo di vita, magari anche adottando il figlio che uno dei coniugi ha in precedenza procreato. Il disegno di legge presentato dalla senatrice Monica Cirinnà non fa altro che regolare questo fenomeno d'unione, in modo analogo a quello tra coppie di differente sesso. Vale a dire dando protezione e riconoscimento giuridico ad una scelta libera di individui responsabili e socialmente innocui, o innocui almeno quanto gli individui eterosessuali, garantendo così al loro rapporto la sicurezza delle forme giuridiche. Che poi in questo caso significano quei vantaggi (e svantaggi, ahimé) che dalla vita matrimoniale vengono ai coniugi della famiglia tradizionale a seguito del vincolo contratto. Quali sarebbero le ragioni per tanto virulento opporsi ad una disciplina giuridica che permette ad esseri umani, cittadini come gli altri, di coronare la propria aspirazione ad avere una vita in comune, garantita dalla legge? Non è dato bene di comprendere. Non prendo posizione su chi oppone valori religiosi: non sono credente e mi limito ad osservare che la famiglia è fenomeno sociale e che ognuno può coltivare per sé il suo credo, senza pretendere che altri s'adeguino alle proprie professioni di fede. Quanto alle assunte esigenze di protezione dell'infanzia vien da sorridere, sol se si consideri quel che accade all'interno delle famiglie eterosessuali. George Bernard Shaw, che una vita familiare dolorosa aveva sperimentato, scrisse una volta: «Quando si trova un coniuge ammazzato, la prima persona inquisita è l'altro coniuge: questo la dice lunga su quel che la gente pensa della famiglia». Ma pur non arrivando al paradosso, studi indipendenti hanno dimostrato che figli conviventi con coppie dello stesso sesso non registrano statisticamente fenomeni di peculiare disagio. E comunque, l'alternativa all'adozione sarebbe quasi sempre assai peggiore. Per quanto abbia ascoltato argomenti, trovo che alla base di tanta fiera opposizione non ci sia altro che pregiudizio ed incapacità completa d'intendere l'evolvere dei fenomeni sociali ed il dovere morale di non infliggere sofferenze al prossimo sulla base di proprie convinzioni previe, quando il prossimo con il suo agire non danneggia noi. Una così marcata ostilità verso quel che si ritiene diverso da sé, semplicemente perché diverso, è una delle manifestazioni del peggior integralismo, destinata certamente alla sconfitta, come tutto quanto si pone al di fuori della storia. Nel frattempo però fa danno. Il nostro Paese vive d'ideologismi e non suole esaminare i fenomeni sociali per quel che sono, apprestando ad essi le regole che richiedono. È un Paese che sconta una storia lunga d'eterodeterminazione culturale, la quale ha impedito il formarsi d'un solido senso d'autoresponsabilità e che si divide su integralismi acritici, in chiese e campanili, ostacolando la modernità. È storia vecchia, ma questa delle unioni civili è stata una delle più tristi dimostrazioni di quanto indietro siamo rimasti rispetto alla realtà che inesorabilmente avanza, ovviamente indifferente alle file dei torpedoni che hanno tradotto le pie famigliole alla Città Eterna dietro la guida dei loro austeri pastori.