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Trasporti a Napoli, disastro nel disastro

Opinionista: 

Non so se abbia ragione il sindaco di Napoli a rivendicare il merito, o almeno una parte dei meriti, dell’incantesimo turistico che la città sta felicemente attraversando. Non c’è dubbio che i dati dell’affluenza siano non molto positivi, se è vero che le prenotazioni alberghiere sono al completo e a queste si aggiungono quelle della cospicua rete di B&B, tessuta nell’ultimo decennio. Io son portato a credere che il contributo dell’azione amministrativa comunale ci sia stato, quanto meno sul piano dell’immagine complessiva – quale avvertita all’esterno. I rifiuti non sono da tempo per istrada (anche se è tutt’altro che a regime il loro ciclo di smaltimento), iniziative dell’odierna spettacolarità non mancano, la città è infinitamente ricca d’attrattive, il clima è indubbiamente amichevole. L’ordine pubblico, rispetto a quel che accade in giro nel mondo, è per il turista più che accettabile. Dunque, si può di buon grado riconoscere che, nel concorso delle cause, anche l’amministrazione de Magistris ci abbia messo del suo. Ma questo è solo un aspetto della città. Indubbiamente importante, ma di certo non il più importante per chi ci vive. Il principale attiene al quotidiano di chi deve viverci. Non c’è comunità degna di questo nome dove gli spostamenti sul territorio non siano ordinatamente assicurati. Il trasporto corrisponde a ciò che nell’organismo è il sistema arterioso: se non funziona, si sta male o si muore. A Napoli, invece, pare non lo si comprenda. La circolazione privata è ormai nel caos. Non c’è infrazione annoverata dal codice della strada che non trovi la sua più puntigliosa pratica nelle strade cittadine. Il divieto di sosta è un vago ricordo e le strade-parcheggio sono la norma, con conseguenze evidentemente disastrose sui tempi dei percorsi. I semafori, pare sia meglio quando sono spenti. Le vecchie, premurose zebre, un tempo riservate all’attraversamento pedonale, semplicemente son diventate afone. L’uso degli strumenti acustici invece, è tanto frequente quanto quello del pedale dell’acceleratore, benché il codice lo prescriva in città nel sol caso di pericolo imminente. Insomma, un disastro a cui non si reagisce più. Ma, disastro nel disastro, è il default del trasporto pubblico. L’azienda cittadina di trasporti, che gestisce ruota e ferro, è tecnicamente fallita. Fallita essa ed, ovviamente, fallita la rete trasportistica. Della scorsa settimana la notizia della chiusura d’una tratta della linea 1 della metropolitana (l’altra, metropolitana non è), per mancanza di convogli, sì per mancanza di convogli. I mezzi di trasporto che, su ruota, ogni giorno percorrono le nostre strade sono ridotti al lumicino (appropriata metafora ottocentesca), pare circa 250, rispetto agli almeno tre volte necessari ed effettivamente circolanti appena una diecina d’anni fa (merito addirittura di Antonio Bassolino). Le strade (e le gallerie) cadono in pezzi e pare non ci sia il denaro per manutenerle: la riparazione della Galleria Laziale è avvenuta a scapito d’interventi previsti in altre disagiate zone cittadine, con il conseguente, scontato attergato della guerra tra poveri. Insomma, la città sembra avviarsi verso la progressiva paralisi e, se fallirà l’Anm, come tecnicamente avrebbe già dovuto esser decretato (magheggi della legge), saranno disastri senza tregua. Rispetto a ciò, il sindaco s’è dato alla denuncia pubblica: attraverso televisioni e giornali ha fatto sapere d’aver perduto lui la pazienza, ha denunciato che ci son persone che lavorano per lo sfascio (difficile non credergli) ed ha lanciato avvertimenti obliqui, il cui senso è chiaro solo ai non chiariti destinatari. Non voglio usare il luogo retorico del ‘in un qualsiasi altro luogo questo avrebbe comportato le dimissioni’, perché i luoghi nel mondo sono tanti e non credo tutti migliori del nostro. Ma un’osservazione non può mancare, perché è dalla logica e dall’elementare esperienza che proviene: chi ha il potere della decisione – e ce l’ha da più di sei anni – non può lamentarsi in giro, come un qualsiasi cittadino, con l’aggiuntivo potere della notorietà. Chi ha il potere di decidere, deve decidere, deve porre in essere, per lo più in silenzio (e non con avvertimenti equivoci, mediati dai media), tutte quelle iniziative che servano a superare le criticità. Può anche denunciare – talora deve – però per tempo, quando la denuncia, magari anche alla Magistratura se necessario, possa svolgere utile contributo al superamento della crisi. Ma dopo sei anni di progressivo, inarrestabile degrado della situazione, la denuncia assume tutt’altro significato: anzitutto quello di chi è alla disperazione, perché per lui è l’ultima spiaggia prima delle cateratte: e questo per un uomo di potere – per quanto limitato, quello del sindaco è un potere non trascurabile – è la confessione del fallimento. E poi quello, altrettanto disperato, di voler distinguere la propria dall’altrui responsabilità. E qui si scivola verso il patetico, per chi è lì da sei lunghi anni. Non credo che saremo invasi dagli alieni, ma credo che, in simile contesto il quotidiano della città non potrà che ulteriormente degradare, producendo ulteriore insoddisfazione, allontanamento dei cittadini dalla città, senso d’impotenza.