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Una collezione di figurelle

Opinionista: 

Il nostro gauleiter Matteo Renzi ha deciso di passare dal palcoscenico interno a quello internazionale. Sarà, forse, perché nelle ultime settimane i sondaggi hanno visto precipitare il suo indice di gradimento, sarà perché in Italia il suo nome e quello della Boschi evocano immediatamente le banche infette, sarà perché ha scoperto che cultura gender e Cirinnà, cose cui non intende rinunziare, sono insopportabili a tanti più di quanto credesse. Egli avrà forse pensato (ammesso che conosca il latino): Nemo propheta in patria. Certo è che, da un po’ di tempo in qua, saltella in Europa, Asia, America e Africa, cercando, probabilmente, di battere i primati stabiliti dal sindaco Marino prima della cacciata. D’altra parte, non può mica lasciar dormire in aeroporto il suo “Air One” che tanti quattrini costa agli italiani. Lascia i viaggi in treno alla Boschi, che ha trasferito ad Arezzo il capolinea del “Frecciarossa” Firenze - Milano, con qualche disagio per gli utenti fiorentini (costoro avrebbero forse preferito l’acquisto di un “Frecciazzurra One”, riservato alle famiglie dei banchieri aretini). Dicevano, però, gli antichi: se Atene piange, Sparta non ride. Sono accadute, negli ultimi giorni, diverse cose che non hanno accresciuto il prestigio del tosco enfant prodige all’estero. La vicenda di Riad, ad esempio: la zuffa tra i gentiluomini che costituivano il seguito di Renzi per la spartizione dei doni offerti dal monarca saudita. Qualcuno ha pensato che forse il gran capo degli italiani (il quale, per metter fine alla rissa, ha preso per sé tutto il malloppo) non è molto oculato nella scelta di collaboratori e assistenti. Non passa una settimana e scoppia il caso delle statue nascoste per la visita del premier iraniano. Tutti hanno potuto ammirare le foto dei cubicoli bianchi che rinchiudevano le statue: qualcuno ha immaginato che, forse, anche le Veneri e gli Apolli avessero improvvisamente bisogno di evacuare e fossero stati forniti di opportune toilette. Favoloso il successivo scaricabarile, con i soliti maligni che hanno ritenuto vi fosse stato un preciso ordine dello stesso presidente del consiglio. Segue a ruota il viaggio in Europa: incontro con la Merkel e scontro a distanza con Juncker. Dai tedeschi Renzi sembra non aver ottenuto niente, a meno che ci siano state riservatissime concessioni in tema di banche toscane. Ha dovuto cedere sull’esborso di duecentottantuno milioni da inviare all’estorsore, il sultanello Erdogan. Il prode Matteo si è vantato di assistere così i rifugiati e di aver ottenuto che quei soldini (li frega a noi, ovviamente) fossero diffalcati dal deficit. Bruxelles gli ha rinfacciato che non poteva non sapere: la decisione di escludere le spese della Turchia dai conti pubblici era stata presa, fin dall’inizio, a ventotto, cioè da tutti gli stati membri, compresa l’Italia. Ora il gran Tour de l’Afrique, ove porterà la pax italica. La speranza è che gli africani lo prendano sul serio e non dicano, come ha fatto la Commissione Europea, che in Italia non c’è un interlocutore (c’è soltanto uno che parla da solo). Intanto il Financial Times smentisce gli ottimistici proclami del premier (“Adesso le cose sono cambiate”, la ripresa è già cominciata), affermando che non c’è nessun motivo per credere che la performance economica dell’Italia possa migliorare. Io non so se, quando era ragazzino, il nostro Matteo abbia fatto la raccolta delle figurine Panini. Certo è che ora, dato che si sta facendo grande, ha cominciato una nuova collezione, di figurelle stavolta. Addo’ nce sta’ sfizio nun ce sta’ perdènza, diciamo a Napoli. L’unico inconveniente è che lo sfizio è soltanto suo, mentre la perdenza è dell’Italia, che non solo fa figure di m…, ma paga anche.