Una facoltà di troppo, anomalia da eliminare
Immaginate che in Italia si fosse pensato di istituire una facoltà di “Seguaci di Ippocrate” in aggiunta a quella di Medicina e Chirurgia e una facoltà di “Epigoni di Cicerone” in aggiunta a quella di Giurisprudenza. Pensate che i medici e gli avvocati, a cominciare da quelli presenti in Parlamento, avrebbero accettato una stupidaggine del genere? E, infatti, non esistono. E per una ragione semplicissima. La nostra classe dirigente, politica e universitaria, non ha mai pensato di istituirle. Esistono invece da circa novant’ anni due facoltà che, con programmi di studio abbastanza simili, preparano due professionisti destinati a esercitare le stesse attività professionali: Architettura e Ingegneria edile. Un’anomalìa che non ha riscontro in nessun altro Paese al mondo. E gli architetti, i loro Consigli degli Ordini, il loro Consiglio Nazionale e i docenti delle loro Facoltà hanno accettato senza alcuna protesta questa stupidaggine, pur sapendo che in tutto il mondo solo i laureati in architettura sono legittimati a operare nel campo dell’urbanistica, del restauro e, ovviamente, dell’architettura. E pur sapendo che il tutto il mondo gli ingegneri devono limitarsi a operare nei campi di loro specifica competenza. Detto in breve, in tutto il mondo vige la norma secondo la quale “non può fare l’architetto chi architetto non è”. Per aggirare questo principio, giuridico oltre che professionale, alcuni cattedratici di Ingegneria, appoggiati dai soliti politici ignoranti, hanno avuto la bizzarra idea di dar vita, qualche anno addietro, alla facoltà di Ingegneria edile-architettura, con il compito di “formare un professionista che assommi la praticità, la pragmaticità e la capacità realizzativa dell’ingegnere alla fantasia e all’estro dell’ architetto” (questa sesquipedale idiozia sta scritta nella proposta di legge ). Un professionista, cioè, dotato delle cognizioni tecniche e tecnologiche necessarie per progettare manufatti edilizi in grado di soddisfare le così dette “finalità pratiche” (riparare dal freddo e dal caldo, dalla pioggia e dal vento, isolare dai rumori, godere della luce e del sole, resistere ai terremoti, durare nel tempo…) e dotati, nel contempo, di una “preparazione estetica” (chiamiamola così) che consenta agli ingegneri-architetti di dare a questi manufatti la capacità di trasmettere il messaggio della “bellezza”. Un professionista in grado di fare anche all’estero quello che fa l’architetto. La istituzione delle facoltà d’architettura negli anni Venti segnò il punto di arrivo di un lungo e tormentato dibattito, sviluppatosi a partire dalla metà dell'Ottocento, sul ruolo dell'arte e dell'insegnamento artistico in una società sempre più condizionata dallo sviluppo tecnologico, sull'organizzazione di percorsi didattici omogenei a quelli delle altre discipline universitarie e sulla questione della tutela professionale, che sono stati i nodi attorno ai quali venne ridefinito il problema della formazione dell'architetto. Affidata fino ad allora alle Accademie di Belle Arti. E quando nel 1924 vennero istituite non si pensò che, nel contempo, bisognava abolire le sezioni di Ingegneria- edile. E abolire, nel contempo, la legge del 1923 che consente di fare gli architetti a tutta la galassia degli ingegneri (chimici, minerari, elettrotecnici, nucleari, idraulici, meccanici, navali, aeronautici, informatici… ne avrò dimenticato qualcuno). Tant’è che il cosìddetto “Ospedale del mare”, costruito a Napoli-Ponticelli, è stato progettato da un ingegnere elettrotecnico. Perciò il problema di questa anomalìa va finalmente risolto. Tra l’altro, trovo assurdo che un Paese alle prese con una crisi economica drammatica continui a sprecare ingenti risorse finanziarie (e umane) per tenere in vita tutt’e due le facoltà universitarie. Nessun governo ci ha mai pensato. Dovrebbe eliminare questa anomalìa il governo gialloverde se vuole essere sul serio “ il governo del cambiamento”..