Un’Europa unita contro il nazionalismo
Rileggo sempre alcune emblematiche analisi di Croce sull’Europa ed ogni volta, dinanzi all’asse inclinato della crisi e dei suoi ricorrenti momenti più acuti, sebbene a distanza di quasi novanta anni, le trovo ancora appropriate. L'esperienza terribile della prima guerra mondiale aveva aperto una voragine tra l'Europa ottocentesca, culla della libertà, ricca, ordinata, sicura di sé, e “quella di poi, impoverita, agitata, triste, tutta spartita da alte barriere doganali, dispersa la vivace società internazionale che si accoglieva nelle sue capitali, occupato ciascun popolo dai suoi propri affanni e dalla paura del peggio, e perciò distratto dalle cose spirituali, e spenta, o quasi spenta, la comune vita del pensiero, dell'arte, della civiltà”. Croce parla esplicitamente della necessità di un “processo di Unione Europea” che muova da convergenti sentimenti di pace, di solidarietà e dal riconoscimento di comuni radici culturali e spirituali. Ed è un processo tanto più importante, quanto più sarà in grado di ridisegnare il nesso tra le singole nazionalità e una nuova dimensione sovranazionale. E che la valutazione crociana non debba considerarsi soltanto alla stregua di una petizione astratta di principio o peggio ancora come una apologia del passato o una retorica aspettativa del futuro, è dimostrato dalla centralità che assume una ulteriore lucidissima intuizione: quella cioè che soltanto l'unione europea è in grado di combattere efficacemente i nazionalismi e di liberarsi non solo dei loro nefasti effetti politici ma anche delle distorte psicologie che li accompagnano. Un altro grande intellettuale del secolo scorso, Thomas Mann, ci aiuta ancora oggi con le sue riflessioni a capire quanto sia importante un’Europa unita sotto il segno della democrazia reale e del rifiuto di ogni totalitarismo. Nel libro Moniti all’Europa, il grande romanziere analizza e descrive i sintomi dell’autodistruzione e dissoluzione dell’Europa e delle sue culture fondanti – il cristianesimo, il liberalismo e il socialismo – fino al vero e proprio suicidio con la comparsa del fascismo e del nazismo, con il terribile massacro di milioni di uomini nella guerra scatenata da Hitler e Mussolini e, infine, col più grande e terribile delitto contro l’umanità: lo sterminio degli ebrei, dei Rom e dei Sinti, degli omosessuali, degli storpi e dei dementi, dei comunisti e dei socialisti, dei liberali e dei partiti di ispirazione cattolica e cristiana. Mann individua con la precisione della sua analisi quale sia il carburante che muove le masse di ceto medio e gli strati più poveri della società a dare il consenso al fascismo italiano ed europeo: il rancore e la paura. “Il nostro tempo ha prodotto questo fenomeno di strana perversione: una riunione in massa di spirito, morbosamente esaltata, ha applaudito all’abolizione dei diritti dell’uomo, che qualcuno proclamava”. Ciò che per Mann diventa assolutamente necessario è un umanesimo militante che deve basarsi innanzitutto sulla “convinzione che il principio della libertà, della tolleranza e del dubbio non deve lasciarsi sfruttare e sorpassare da un fanatismo che è senza vergogna e senza dubbi. Se l’umanesimo europeo è diventato incapace di una gagliarda rinascita delle sue idee (…) andrà in rovina e ci sarà una Europa, il cui nome non sarà più che un’espressione storica e da cui sarebbe meglio rifugiarsi nella neutralità fuori del tempo”. Un nuovo equilibrio si rende vieppiù necessario, in un processo di convergenza che non coinvolge soltanto le politiche degli Stati, ma anche fondamentali ordinamenti vitali e culturali, sulla via di una risposta dell’Europa al globalismo irrompente, ma anche e soprattutto alla rinascita del nazionalismo, del sovranismo, della xenofobia, del razzismo.