Antonio Sergio (nella foto), luciano doc, insieme al fratello maggiore Arturo, gestisce lo storico Caffè Gambrinus di piazza Trieste e Trento. «Tutto ebbe inizio nel 1950 quando mio padre Michele aprì il bar Tourist in via Santa Lucia, frequentato moltissimo dal mafioso italo-americano Lucky Luciano. Per circa dieci anni la strada fu l’ombellico del mondo e molti businnes passavano di là. Tutto questo, naturalmente, favorì molto anche il bar di papà. Esiste ancora e per noi è un caro cimelio di famiglia ».

Dopo qualche anno acquistò anche il bar Brasiliano nella galleria Umberto.

«Era sua intenzione darlo a mia sorella, come poi è avvenuto. C’è un aneddoto molto simpatico legato a questo bar. La Galleria era frequentata dai tifosi del Napoli e aveva come stemma un cavallo rampante su un pallone. All’indomani di una sua clamorosa sconfitta un tifoso esclamò: “ma quale cavallo chisto è nu ciuccio perché nun vale niente!”. Da qui la sostituzione del cavallo con il ciuccio. Poi lo stemma è stato cambiato con quello attuale ».

Suo padre quandò rilevò il Caffè Gambrinus?

«L’artefice involonrario dell’acquisto delle quote azionarie dalla famiglia Castaldo fu mio fratello Arturo, studente dell’Istituto di Belle Arti, in piazzetta Salazar, vicino a palazzo Salerno, in piazza del Plebiscito. Gli piacevano molto gli affreschi e un giorno, al rientro da una visita scolastica al Caffè, disse a nostro padre: “perché non compri il Gambrinus?”. Era il 1973».

Com’era? «Meno della metà di quello che è adesso. L’attuale sala dove c’è il bancone del bar e quella che si affaccia su piazza del Plebiscito, erano occupate dal Banco di Napoli ».

Lei intanto che faceva?

«Studiavo ragioneria e stavo per diplomarmi. Il mio sogno era fare l’impiegato di banca perché mi piaceva molto l’eleganza con cui vestivano i bancari».

La fase di avviamento incontrò difficoltà?

«La gestione Sergio non nacque sotto buoni auspici. Papà non aveva grandi disponibilità economiche e gran parte dell’acquisto fu fatto “a cambiali”. Confidava di poterle pagare con gli incassi. Senonchè il 30 agosto del 1973 a Napoli scoppiò il colera per cui i clienti erano come “le mosche bianche”, cioè pochissimi. L’onorabilità di mio padre fu messa in forse. Fortuna volle che verso settembre, ottobre approdò a Napoli una comunità di eritrei che scelsero il Gambrinus come punto di incontro. Venivano il giovedì e la domenica, qualche volta anche il sabato. Fu una forte boccata di ossigeno. Siamo riconoscenti agli eritrei per quello che fecero. Recentemente ho incontrato il console d’Eritrea e gli ho detto che grazie ai suoi connazionali il Caffè Gambrinus esiste ancora ».

Chi affiancava suo padre?

«Mio fratello. Era un giovane promettente pittore ma la famiglia aveva bisogno e lui non si fece pregare due volte».

Quando c’è stata la svolta?

«Nel 1980 quando papà, dopo un lungo contenzioso con il Banco di Napoli, ottenne la sala dove ora c’è il bar e l’adibì a sala da the. È stato anche l’anno in cui è iniziata la mia collaborazione nell’azienda di famiglia».

Di che cosa si occupava?

«Mi ero diplomato in ragioneria e, non avendo alcun tipo di esperienza, mi sentivo “un pesce fuor d’acqua”. Dovetti fare di necessità virtù e papà mi destinò prevalentemente della cassa. Poi mi alternavo con mio fratello nell’apertura e nella chiusura del locale, come avviene ancora oggi».

Quanto personale c’era?

«Tre collaboratori».

Oggi?

«Quaranta oltre me, Arturo, suo figlio e il figlio di mia sorella, per continuare la tradizione dei Sergio. Le mie due figlie che hanno preso un’altra strada professionale ».

Vi apriste anche all’esterno...

«Cominciò la “campagna”, come si dice in gergo, cioè mettemmo trenta tavolini all’aperto. Li avevamo solo noi, gli chalets a Mergellina e qualche bar in Galleria».

Poi avete iniziato a fare eventi...

«Di fatto abbiamo cominciato nel 1985 quando Arturo e io organizzammo una festa privata per la figlia del ministro Valerio Zanone che si era diplomata al Conservatorio. La facemmo nella sala the dove ora c’è il bar».

Poi?

«Si sono susseguiti programmi di eventi culturali, artistici, musicali».

Ne ricorda qualcuno?

«Il teatro nel Piatto del regista e autore Pasquale Della Monaco e il Festival dei posteggiatori. Nel Natale del 1988 poi conoscemmo un giovane artista, Mimmo Cordopatri. È stato lui a creare il primo presepe con il volto dei personaggi. Era due metri per un metro e mezzo. I personaggi erano Gava, De Lorenzo, Ventriglia, Amelia Ardias e tanti altri. Facemmo costruire una vetrina in plexiglass e lo esponemmo sul marciapiede vicino all’ingresso ».

Quando c’è stata la massima visibilità per il Gambrinus?

«In occasione del G7 del 1994. Gli organizzatori ci misero a disposizione delle postazioni all’interno del Palazzo Reale. Tra le varie iniziative, ogni mattina servivamo la colazione a Bill Clinton. Eravamo visti da tutto il mondo con almeno tre passaggi televisivi al giorno. Finito il G7 il sindaco Antonio Bassolino di sera venne di persona a togliere le transenne a piazza del Plebiscito e disse: “napoletani, la piazza è un’altra volta vostra”. Da quel momento il primo cittadino iniziò la battaglia per evitare che la piazza fosse stazionamento dell’allora Atan e parcheggio per le auto. La vinse».

Nel 2001 acquisiste la sala che affaccia su piazza del Plebiscito e la chiamaste Michele Sergio, in onore di vostro padre. Che cosa rappresentò per voi questo ulteriore ampliamento?

«Incrementammo gli eventi in maniera esponenziale. Tra questi ricordo, in particolare, il “battesimo” come scrittore di Maurizio De Giovanni».

Ci racconti...

«La Porsche Italia organizzò da noi una manifestazione in grande stile per la nuova vettura Porsche 911 T. Il managemant indisse un concorso tra venti scrittori in erba ciascuno dei quali in 11 minuiti doveva comporre uno scritto. Tra questi c’era Maurizio De Giovanni, giovane bancario appassionato di letteratura che i suoi amici, a sua insaputa, avevano iscritto alla gara. De Giovanni racconta che il giorno della prova, mentre gli altri concorrenti iniziarono subito a scrivere, lui ebbe difficoltà a cominciare. Ad un tratto attraversò la vetrata che affaccia sulla piazza, vide un giovane zingara che lo fissava cacciando fuori la lingua. Inspiegabilmente ebbe l’ispirazione e nacque l’ispettore Ricciardi ».

Poi c’è stato anche l’episodio con Maria Grazia Cucinotta...

«Negli anni Venti il Gambrinus era frequentato da artisti di ogni genere. Tra i tavoli giravano le soubrettes in cerca di una scrittura. Spesso gli autori di testi o di musica ricorrevano a loro per fare le prime prove delle loro composizioni. Memori di ciò alcuni clienti ci chiesero di riproporre quell’atmosfera. L’occasione nacque con la Cucinotta che volle girare alcune scene di un film di cui era la produttrice, “’O mbruoglio sotto ’o lenzuolo”. Era ambientato negli anni 20 e Natalie Caldonazzo interpretava il ruolo di una soubrette. La Cucinotta fece costruire un palcoscenico in fondo alla sala in stile Cafè Chantant e girò le scene. Al termine, dopo mie garbate ma ripetute richieste, la convinsi a lasciarmi il palcoscenico e cominciammo a presentare il Cafè Chantant».

Su quel palcoscenico si è esibito anche Andrea Bocelli.

«Registrò live un suo album contenente alcune canzoni napoletane. A un tratto chiamò Arturo e me vicino al pianoforte e ci disse: “questa canzone la dedico a voi due”. Era “’A vucchella”».

Il Gambrinus è da tempo tappa obbligata dei presidenti della Repubblica...

«Ricordo Scalfari, Cossiga, Ciampi, Napolitano e naturalmente Mattarella».

Perché questa tradizione?

«Da buon napoletano credo alla “ciorta”. Il primo presidente, Enrico De Nicola, era napoletano e frequentava il Gambrinus. Dipenderà da questo, forse».

Dei presidenti che ha citato chi ricorda in modo particolare?

«Cossiga e Ciampi. Il primo ha “debuttato” con le sue picconate ai politici proprio seduto in un divanetto rosso nella nostra sala the dove incontrò i giornalisti. Il secondo, nel 2001, spese da noi i sui primi euro perché volle pagare per forza i caffè che aveva consumato con la moglie nonostante io insistessi per offrirli. Volli che li pagasse a me direttamente, gli stesi la mano e mi diede una moneta da un euro e una da due euro. Mi disse: “Voglio spendere i primi miei euro per un buon caffè preso con mia moglie da voi”. Emozionatissimo non mi accorsi che mi aveva dato un euro e venti centesimi in più e misi i soldi in tasca. Li tengo gelosamente conservati perché sono un pezzo di storia ».

C’è un episodio “tragicomico molto singolare accaduto al Gambrinus. Ce lo racconta?

«Come ho detto sono un luciano e sono cresciuto anche tra gente non proprio onesta. Un giorno venne da me una persona che conoscevo da bambino e che da adulto faceva il borseggiatore. Mi disse che stava per sposarsi e che avrebbe voluto fare qualche fotografia nel Caffè con sua moglie in abito da sposa. Acconsentii. Dopo la funzione i giovani sposi vennero al Gambrinus. Mentre si trovavano nella sala the, si fermò una macchina dalla quale scese il capo della polizia dell’epoca, il prefetto Parisi. Stava bevendo un caffè, vide gli sposi e disse: “Che bello, una sposa. Voglio farmi una foto con lei e il marito”. Sbiancai in volto e non riuscii a evitare che questo accadesse. Quel borseggiatore ha nell’album di famiglia una foto che lo ritrae insieme alla moglie e al capo della polizia».

Quanto tempo dedica al suo lavoro?

«Quindici, sedici ore al giorno, sempre con lo stesso entusiasmo. Il Gambrinus è conosciuto in tutto il mondo. Poco tempo fa è venuto da noi il ministro del Turismo del Giappone e ha voluto farsi una foto con me insieme a sua moglie».

Qual è il suo obiettivo?

«Insieme a mio fratello vogliamo recuperare anche gli altri due locali che si affacciano su via Chiaia e che sono occupati da un negozio di calzature. Quando ci riusciremo Napoli riavrà il Gambrinus com’era negli anni Venti».