Corrado Ferlaino (nella foto Agn/De Luca), ingegnere, 87 anni che compirà venerdì, è conosciuto dai più per il presidente del Calcio Napoli che ha comprato Maradona e ha vinto due scudetti. È, però, un importante imprenditore che ha progettato, costruito e venduto circa 20mila abitazioni. È stato un abile corridore automobilistico e da sempre un cinefilo. Oggi ha uno splendido cane lupo.

«Sono nato a via Arcoleo in una sopraelevazione che ha fatto mio padre. Aveva la “mania” di costruire case e me l’ha contagiata. I miei anni sono passati velocemente con delle lunghe passeggiate nella Villa Comunale accompagnato da mia madre o dalla mia bambinaia. Poi mi sono trasferito al Vomero, a via Bernini, quindi a piazza Leonardo e infine in via Scarlatti. Erano zone in cui papà ha costruito molto».

Le sue passioni sono state il pallone, le donne e i motori...

«Ho fatto l’Intersociale, il più antico torneo amatoriale d’Italia. Mi ricordo che in una partita, dove stavamo perdendo 3 a 0, feci un gol bellissimo di testa. L’arbitro me lo annullò ingiustamente per fuori gioco. Era mingherlino ed evidentemente juventino. Mi dissi: “dove mi capita un’altra occasione come questa?” e gli diedi un pugno in faccia. Fui squalificato a vita. Qualche anno dopo un’ amnistia generale mi graziò, ma non ripresi a giocare perché ero già laureato e lavoravo con l’impresa di mio padre».

Si è sposato giovanissimo...

«Ho sempre amato le donne e a venti anni ho contratto il primo matrimonio con una ragazza che ne aveva sedici. Andammo a vivere a via Scarlatti. Mio padre favorì le nozze perché pensò che da sposato avrei messo la testa a posto. Ma non fu così: sono un irrequieto e dopo una decina d’anni mi separai».

Quando cominciò a gareggiare con le automobili?

«Giovanissimo, perché mi è sempre piaciuto guidare. Ho corso soprattutto con la Lancia Zagato e con la Ferrari Granturismo. Con la prima sono arrivato due volte sul podio d’onore al campionato italiano, con la seconda sono diventato campione d’Italia per la categoria oltre 2000. Ho partecipato anche quattro volte alla mitica Millemiglia. Ho gareggiato per scuderie ma poi volevo sentirmi libero e mi misi a correre da indipendente».

Fece anche una incredibile scommessa con i suoi amici vomeresi...

«Eravamo riuniti a piazza Leonardo e decidemmo che l’acqua che si beveva a Napoli non era buona. Scommettemmo a chi arrivava primo in macchina a Stoccolma per bere un buon bicchiere d’acqua: vinsi io».

Ma il suo vero e unico “mestiere” è stato fare il progettista, costruttore e venditore di abitazioni. Quando ha iniziato?

«A otto anni già disegnavo le piantine delle case che costruiva papà. Appena laureato ho iniziato con la sua impresa poi mi sono messo in proprio continuando, però, a progettare per lui. Comprai tutti i suoli ai Colli Aminei e al Rione Alto. Qui feci una bella lottizzazione e furono costruiti 10/12mila appartamenti, praticamente una cittadina grande come Sorrento. Il toponimo Rione Alto l’ho scelto io per dare al complesso residenziale un nome nobile. Ho costruito sette palazzi al Centro Direzionale, i due più belli di via Scarlatti, uno a Milano, una bellisssima residenza vicino a Livorno, dodici ville ad Anacapri. Quindi a Volla, Casalnuovo, Massa Lubrense, Roccaraso. Penso che avrò progettato, costruito e venduto proprietà per oltre 20mila unità».

Poi incontrò il calcio Napoli...

«Per la lottizzazione del Rione Alto ero in società al 50% con EnricoVerga, figlio di un medico e professore universitario molto importante. Vomerese anche lui, conosceva molte persone tra cui Roberto Fiore. In una delle tante serate trascorse davanti alla funicolare di Chiaia, punto di incontro di tutti i rampolli del quartiere collinare, Fiore lanciò l’idea di fare una colletta tra il nostro gruppo di quindici amici per acquistare azioni del Napoli Calcio. Controvoglia accettai e divenni proprietario della società calcistica solamente con due azioni perché il primo tentativo andò male. Non partecipavo mai alle riunioni del gruppo perché si litigava solamente. Fiore voleva che noi mettessimo i soldi e che lui facesse il presidente ».

Il secondo tentativo però per lei andò a buon fine...

«Quando morì Antonio Corcione, che deteneva il 33% della proprietà, fui invitato dai miei soci a partecipare a una riunione promossa dalla vedova per fare un’offerta per acquistare il suo pacchetto azionario. C’erano altre persone interessate e andammo tutti insieme. Presero tutti l’ascensore, mentre io feci di corsa i due piani di scale e arrivai per primo: ero giovane, avevo ventisette anni. La vedova Corcione mi fece accomodare in una stanza, mentre tutti gli altri li fece attendere in un’altra. In un momento di distrazione chiusi a chiave la porta di quella camera e chiesi alla signora: “quanto vuoi”. Mi rispose: “70 milioni”. Le feci l’assegno. Lei aggiunse: “va bene, però devo avere il benestare di Achille Lauro perché seguo molto i suoi consigli”. Io le dissi: “intanto piglia i soldi”. Aprii la porta che avevo chiuso a chiave e la vedova disse agli altri che il Napoli era stato venduto. Quando scesi fui accolto dai soci del gruppo che in coro urlarono: “abbiamo comprato il Napoli”. Serafico risposi: “No, io ho comprato il Napoli!”».

Quando è diventato presidente della società?

«Nel 1969. Ci fu uno scontro tra Lauro e Fiore. I gruppi che rappresentavano avevano i restanti 2/3 delle azioni. Il Comandante per fare dispetto a Fiore, tramite il suo legale, l’avvocato Diamante, mi nominò presidente. Non era previsto. La notizia l’appresi dal centralinista del Napoli che mi telefonò e mi fece gli auguri. Andai da Lauro immediatamente e lui mi pose delle condizioni molto dure perché doveva avere dei soldi dalla società. “Ingoiai” il suo diktat e il Comandante mi disse: “tu sei presidente per tre anni e nessuno ti può cacciare».

Com’era Achille Lauro?

«Un grosso personaggio, un grande napoletano che ha cercato di fare, con una mentalità forse tutta partenopea, il bene della città. Era molto geloso del Napoli e lo andavo a trovare spesso la mattina per ammorbidire questo suo modo di essere. L’ho sempre stimato e gli ho voluto molto bene. Mi dava consigli e sotto molti aspetti mi ha insegnato a fare il presidente. Un giorno gli dissi: “il Mattino mi tratta male. Che devo fare?” e lui mi rispose: “Non comprare il Mattino, comprati il Roma, che te ne importa”».

Nel terzo anno della sua presidenza stava per vincere lo scudetto. Accadde, però, una cosa che la sconvolse...

«La partita decisiva era Inter-Napoli a San Siro: una gara che non dimenticherò mai. Il Napoli si giocava lo scudetto e per me sarebbe stata un’esperienza incredibile. Al termine del primo tempo l’arbitro Gonella fu minacciato nel suo spogliatoio dai giocatori dell’Inter. Per tutto il secondo tempo la sua direzione di gara fu spudoratamnete tutta a favore dei padroni di casa che vinsero per 2 a 1 e noi perdemmo lo scudetto. Al termine della partita perfino Zoff, che era un gran signore, voleva picchiarlo ».

Ne soffrì tanto che stette fisicamente molto male...

«Mi arrabbiai moltissimo ed è stata l’unica volta in vita mia che sono stato veramente male. Per non avere contatti con il mondo del calcio me ne andai con la donna che stava con me a Lugano, in Svizzera. Mi chiusi in albergo e vomitai tutta la notte».

Ma perché le squadre del Nord ce l’hanno contro il Napoli?

«Non lo so e non sono mai riuscito a comprendere il perché dei loro atteggiamenti negativi nei confronti del Napoli. Ricordo che una volta a Udine ero in tribuna d’onore che era sottoposta alla tribuna dove stavano i tifosi. Per tutto il tempo della partita uno spettatore mi sputò in testa al punto che al termine dell’incontro dovetti andare nello spogliatoio e farmi la doccia. Mi chiesi: “ma tutta questa saliva questo signore dove l’ha pigliata?”».

Qual è la partita che porta nel cuore?

«Quella al Neckarstadion di Stoccarda quando ci aggiudicammo la Coppa Uefa 1988/89. Quando ne parlo mi commuovo e piango, proprio come in questo momento. C’erano molti lavoratori napoletani e per loro, come per tutti noi, fu il riscatto dell’intero popolo partenopeo. Quando andai via, tutta la strada che portava all’aeroporto era completamente imbandierata di azzurro».

E Maradona?

«Per lui ci vorrebbe un capitolo a parte. In quella occasione siamo stati molto fortunati perché si verificarono una serie di coincidenze a noi favorevoli».

Perché non ha mai fatto politica?

«Ho sempre ritenuto che il presidente di una squadra di calcio non può scendere nell’agone politico. Eppure se avessi voluto avrei avuto una quantità enorme di consensi e sicuramente un seggio in Parlamento».

La candidarono alle Politiche nella Democrazia Cristiana, ma fece il gran rifiuto...

«Mi ritrovai a mia insaputa nella lista della Dc con il numero 24. Andai di corsa da Ciriaco De Mita per farmi cancellare. Gli raccontai una balla e gli dissi che la mia compagna era comunista e che mi avrebbe lasciato se non avessi rinunciato alla candidatura».

Dopo 33 anni lasciò il calcio Napoli. Perché?

«Era il periodo in cui si organizzavano con molta approssimazione le scommesse clandestine. Il centro era proprio un quartiere della nostra città. Continuo a chiedermi come mai il Napoli dopo il primo scudetto abbia perduto il secondo campionato. Eppure mettevo premi partita doppi o tripli rispetto alla norma e i giocatori guadagnavano un sacco di soldi proprio per evitare loro tentazioni di ogni tipo. Questo naturalmente è pesato molto sulle casse della società. Comunque quando vendetti il Napoli a Corbelli la società non aveva più debiti. Corbelli stesso lo riconobbe in una intervista rilasciata a “Il Mattino”. Oggi faccio il tifoso e ne sono felice».

Ama il Napoli, ma ama con la stessa intensità la sua città...

«Sono tifoso del Napoli e sono tifoso di Napoli. Amo viaggiare e conosco tutto il mondo. Tra poco vado a Santiago del Cile perché non conosco quella nazione. Ma Napoli è unica, con tutte le sue contraddizioni».

Ha avuto donne importanti nella sua vita. Tre le hanno dato cinque figli. Oggi vive con la quarta compagna Roberta. E nipoti?

«Ho qualche nipote. Ma il brutto dei nipoti è che sono sangue misto. Sono un po’ meticci quindi non ne parliamo ».

Se ha un rimpianto, qual è?

«Di rimpianti ce ne sono tanti, ma me li tengo per me. Sicuramente quello che mi dispiace e mi meraviglia è che nonostante abbia progettato e costruito tante case e palazzi, praticamente sono conosciuto solo come il presidente del calcio Napoli, quello che ha comprato Maradona e ha vinto due scudetti».

Ha conosciuto tante persone. A chi è affezionato di più?

«Spesso mi chiedono se conosco questa o quella persona. Rispondo che conosco solo Corrado Ferlaino. Mi voglio molto bene e ancora oggi, la mattina quando mi sveglio, mi guardo allo specchio e mi mando i bacetti».