Gualtiero Parisio (nella foto vessillifero all’Universiade di Torino e al suo fianco Carlo De Gaudio), è un ingegnere civile e opera nel settore delle opere pubbliche. É stato campione di nuoto e di pallanuoto con i colori della nazionale e del Circolo Canottieri Napoli e il vessillifero della VI Universiade di Torino del 1970. Fondatore e presidente dell’Associazione Italiana di Pallanuoto “Pallanuoto Sempre”, insieme al compianto Paolo De Crescenzo inventò la Beach Water Polo. Ha ricoperto anche la carica di vicepresidente sportivo del sodalizio giallorosso di cui attualmente presiede il collegio dei probiviri. Ha scritto la nuova legge dello Sport Campano approvata nel 2015 e tuttora in vigore. Esperto in contabilità analitica e industriale, è il coordinatore del comitato tecnico “Marevivo”. È sposato con Luciana Suddivò con la quale ha tre figli, Paola, Simona e Sarah.

«Sono metà napoletano e metà inglese perché mia madre era discendente di un’antica famiglia britannica che si era trasferita dall’Inghilterra a Napoli nel 1842. Il mio avo, un ingegnere, fu chiamato per manutenere i motori inglesi usati dalla Marina borbonica e non andò più via. Alla fine della seconda guerra mondiale mamma conobbe mio padre, avvocato, si sposarono e andarono a vivere a Mergellina dove sono nato e cresciuto».

Quando si è avvicinato allo sport?

«A 15 anni, nel 1961. Partecipai a “Il Tritone di Napoli”, una gara di nuoto nella piscina Scandone che era stata inaugurata l’anno prima. Era la prima volta che nuotavo in una piscina e vinsi i 50 metri stile libero battendo il record campano. Gli allenamenti li facevamo nella micropiscina della Mostra d’Oltremare. Aveva solo tre corsie per 25 metri. L’istruttrice, fräulein Strukel, era una tedesca terribile che ci faceva lavorare moltissimo».

Poco dopo si iscrisse al Circolo Canottieri Napoli. Perché?

«C’era una ragazza che mi piaceva e che faceva il corso di nuoto. Mi misi nella sua “scia”».

E la pallanuoto?

«Era molto attraente per cui dopo l’allenamento di nuoto ci intrattenevamo con i pallanuotisti. L’allenatore era Bubi Dennerlein il quale ci diceva che se volevamo fare quello sport dovevamo allenarci sempre. Con me c’erano il fratello Fritz Dennerlein, Gigi Mannelli e altri nuotatori. Miglioravo sia nel nuoto che nella pallanuoto al punto che vinsi i campionati assoluti italiani di nuoto con la staffetta con Fritz, Gianpiero Fossati e Sergio Contrada. Era il 1963 e l’estate di quello stesso anno vinsi anche per la prima volta il campionato italiano di pallanuoto perché, entrando in squadra, riuscì a conquistare un posto fisso nella formazione».

Il 1963 è anche l’anno della sua maturità classica. C’è un aneddoto che la vede protagonista di un evento singolare. Ce lo racconta?

«Ho praticamente inaugurato l’Autostrada del Sole. Dovevo partecipare alla partita che si disputava di sabato a Firenze e il lunedì successivo avevo la prova di greco al Liceo Denza. Informai l’allenatore che non avrei potuto giocare. Il commendatore Carlo De Gaudio mi disse: “non ti preoccupare mi faccio dare un permesso per percorrere l’Autostrada del Sole. È ultimata anche se non è stata ancora inaugurata”. Così fu: la domenica la percorremmo tutta fino a Napoli e il giorno dopo potei sostenete la prova di greco ».

Con un padre avvocato scelse ingegneria. Come mai?

«Mi sono sempre piaciuti i numeri e avevo la passione di smontare e rimontare tutto quello che mi capitava sottomano per comprendere come erano fatte le cose. Il mio pensiero fisso era quello di costruire impianti sportivi e, in particolare, le piscine».

Studiava e contemporaneamente faceva sport agonistico. Riusciva a districarsi tra questi impegni così gravosi?

«Sì, anche perché avevo deciso di fare solo il pallanuotista. Gli allenamenti erano meno impegnativi e il campionato si svolgeva da fine maggio ad agosto inoltrato. In Italia non esistevano piscine coperte tranne quella di Napoli e Roma. Erano gli anni in cui il Recco la fece da padrone. Poi Fritz Dennerlein diventò il nostro allenatore ed ebbe la lungimiranza di farci allenare in inverno in Ungheria, praticamente il “gotha” della pallanuoto. Lì c’erano le piscine coperte. Stavamo 4 giorni e facevamo tre partite al giorno, andando da una piscina all’altra. Imparammo moltissimo e acquistammo una forte motivazione. Per nove anni eravamo stati secondi, terzi e anche quarti dietro al Recco. Poi nel 1973 arrivò dalla Rari Nantes Enzo D’Angelo e rientrò D’Urso. Con una squadra già buona e con questi due attaccanti molto bravi diventammo talmente forti che vincemmo il campionato».

Fu allora che veniste battezzati il “Settebello”?

«No. Questo nome appartiene alla squadra della Rari Nantes fin dal 1948. Deriva dal fatto che in quel circolo si giocava a Tressette. Nel tempo fu attribuito alla squadra che vinceva il campionato, quindi anche a noi, e a quella della nazionale maggiore». Nel 1975 venne il secondo scudetto. «Il primo campionato fu una sorpresa; il secondo fu ancora più bello. Il compianto Mario Vivace era il mio compagno. Ci chiamavano i ragazzi dello scudetto ».

Quando decise di abbandonare lo sport praticato?

«Appena laureato, nel 1976, e feci l’ultimo campionato. Negli anni precedenti ero stato in Nazionale giovanile di nuoto, in quella di pallanuoto e avevo partecipato all’Universiade di Torino del 1970».

Di questo avvenimento ha un ricordo importante.

«Sono stato l’alfiere, il vessilliforo della VI Universiade. Ho portato la bandiera davanti a tutte le nazioni, la stessa che si usa ancora oggi. Fui scelto perché avevo già un passato sportivo ragguardevole. L’emozione di entrare per primo nello Stadio Olimpico di Torino e portare la bandiera è un ricordo bellissimo».

Che cosa fece dopo la laurea?

«Andai negli Stati Uniti. Volevo vedere come erano gli impianti sportivi e, in modo particolare , le piscine nel “nuovo mondo”. In verità ero spinto anche da un altro motivo: dare un taglio netto con l’Italia altrimenti prima o dopo sarei tornato nuovamente a fare il pallanuotista. Sono stato “americano” per nove mesi e ho girato in lungo e in largo quella repubblica federale. Costa orientale e costa occidentale, nord e sud, e poi Vancouver in Canada».

Che esperienza ha maturato?

«Ho visto impianti molto belli e per la prima volta ho verificato l’importanza che veniva data all’aspetto psicologico come elemento di forte motivazione per gli atleti».

In che senso?

«Cito come esempio emblematico il colore dei sedili e quello degli spogliatoi. Rosso fuoco per i padroni di casa, solitamente un celeste pallido per gli ospiti ».

Tornato in Italia ha messo a frutto quello che ha visto?

«Nell’immediato no perché fui chiamato da una importante impresa di costruzioni di Roma. Mi dissero: “se è riuscito nello sport così bene siamo convinti che è adatto a ricoprire ruoli di responsabilità. Abbiamo bisogno di un ingegnere civile che vada in Africa, prima in Nigeria, a costruire un argine sul lago Ciad, e poi in Marocco, a costruire una diga con turbine per produrre energia elettrca. È disponibile?”. Accettai».

Quando tempo c’è rimasto?

«Dopo sei anni dissi a me stesso che era meglio rientrare a casa altrimenti sarei diventato straniero in Italia. Tra le prime cose che feci ritornai al Circolo Canottieri ».

Prese qualche iniziativa?

«Insieme a Paolo De Crescenzo inventai la Beach Water Polo».

Ci spieghi.

«È una pallanuoto che si gioca a mare tra due squadre composte da quattro giocatori ciascuna. Il campo è di 15 metri per 11 con porte più piccole e più leggere di quelle tradizionali. Le ha ideate nel 1995 Vittorio Ercolano che oggi è uno dei più grandi produttori di porte di pallanuoto in Italia ed esporta anche all’estero».

Perché la pallanuoto oggi è lontana dal grande pubblico?

«Quando ho cominciato a giocare era il secondo sport dopo il calcio. C’erano i bagarini e gli spalti erano gremiti di pubblico. L’avvento della televisione fece emergere i suoi limiti perché se non c’era una perfetta illuminazione, con totale assenza di riflessi, era difficile seguire la partita. Di contro il calcio, e poi l’automobilismo e la pallacanestro, erano molto godibili nel piccolo schermo. Conseguentemente gli sponsor si riversarono tutti su queste discipline abbandonando completamente la pallanuoto che non era più concorrenziale».

Per questo motivo fondò l’Associazione Italiana di Pallanuoto “Pallanuoto Sempre”?

«Vide la luce nel 1994. Ero il presidente e con me c’erano Sandro Ghibellini, Gianni De Magistris, Eraldo Pizzo e altri 500 atleti e appassionati. La sede era a Napoli e aveva come mission quella di avvicinare la pallanuoto alla gente e non il contrario. Abbiamo fatto campionati in tutte le località balneari italiane e anche in alcune citta all’estero. Abbiamo “seminato” pallanuoto per nove anni con 9 campionati italiani maschili e femminili e 4 campionati europei maschili. Poi per svariate ragioni l’interesse si affievolì e l’Associazione morì».

Attualmente di che cosa si occupa?

«Di contabilità analitica o industriale delle farmacie. Per il passato, come opere pubbliche, mi sono occupato della Metropolitana di Napoli, del porto di Pozzuoli, delI’Interporto Campano, dell’Interporto di Nola e degli impianti di depurazione delle acque».

A questo proposito, lei è molto impegnato nei problemi ambientali.

«Con l’associazione Marevivo sono continuamente con “il fiato sul collo” degli amministratori pubblici affinché la depurazione dell’acqua di scarico, le acque reflue, funzioni. Ci sono molti disservizi e abbiamo continue e pesanti sanzioni economiche dall’Unione Europea. C’è una legge che prevede espressamente di chi sono le competenze, ma a oggi esiste ancora grande confusione».

Ha anche scritto la nuova legge dello Sport Campano.

«Con la giunta Bassolino nel 2009. È tuttora in vigore».