Liguria, terra di intasati transiti e fugaci apparizioni. La malia di Genova, il trambusto degli imbarchi a Savona, un camion inceppato per le belle, anguste vie di San Remo. Del buio pesto in sala e nelle cucine del ristorante di Eataly questa rubrica diede conto, resta, invece, solo impresso nella memoria l’ottimo pesto dell’osteria di Vico Palla inquinato dall’ansia del lento serpeggiare di un insetto sul pavimento. Poi l’incontro con il Rossese di Dolceacqua di Giovanna Maccario. Da lì, dal Rossese, riletture delle ingiallite e gualcite pagine di Mario Soldati, errante tra locande e vini di osti lungo vie abbandonate dai più, per le nuove, al tempo, autostrade. Come per un amore epistolare, come per la magia di una figurazione, per il fascino di segni invisibili e brillanti conficcati nella memoria inconsapevole, l’animo finisce rapito da quella striscia curva di terra che assurge a luogo onirico e quindi intimo. “Il vino è come la poesia, che si gusta meglio, e si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo. La Nobiltà del vino è proprio questa: che non è mai un oggetto staccato e astratto, che possa essere giudicato bevendo un bicchiere, o due o tre, di una bottiglia che viene da un luogo dove non siamo mai stati. Che cosa ci dice l’odorato, e il palato, quando sorseggiamo un vino prodotto in un luogo, in un paesaggio che non abbiamo mai visto, da una terra in cui non abbiamo mai affondato il piede, e da gente che non abbiamo mai guardato negli occhi, e alla quale non abbiamo mai stretto la mano? Poco, molto poco.” (Mario Soldati, in “Vino al Vino”). Per questo, in quella squallida Italia di anonimi capannoni bigi rivestiti di teloni colorati e scritte giganti che è, architettonicamente, il Vinitaly, ho sostato a lungo in Liguria. Giancarlo Alfano, delegato Ais di Savona, deve aver scorto una spinta emotiva dietro il pass stampa e con affetto per la sua terra, ha guidato con rara competenza una lunga esplorazione del territorio attraverso calici, mappe, strette di mano con produttori. Una regione enologicamente piccola e misconosciuta così viene valorizzata attraverso le sue sfumature, le peculiarità, gli eroismi dei viticoltori, la storia. Solo l’1% del territorio è pianura e la più grande area piana è quella di Albenga. Terreni sabbiosi di riporto. Qui Pippo Parodi con la sua Cascina Feipu de’ Massaretti è considerato un pioniere del Pigato. Lo produce da soli vigneti di pianura. Un vino che colpisce per la sua bevibilità, la delicata ricchezza minerale, la persistenza seducente. Evoca donne vestite di chiffon bianco. Nel metodo classico, 100% Pigato, di La Vecchia Cantina della famiglia Calleri si avvertono splendide note di idrocarburo tipiche del Pigato fermo evoluto. Stessa cantina, stesso territorio, stupisce anche con il Vermentino, opulento e scorrevole. Allevato lungo tutto l’arco della regione, il Vermentino assume vesti diverse tra ponente e levante, come diversi sono stili e tradizioni di vinificazione. A ponente si risente l’influsso del vicino Piemonte e quindi della cultura del monovitigno, le Alpi conferiscono la propria ricchezza; a levante si sconfina in Toscana, i terreni si fanno argillosi, non si disdegnano blend e uvaggi, la struttura dei vini prende maggiore consistenza. Ad Antica Luni di Ortonovo La Baia del Sole produce un cru di Vermentino, Sarticola, che ammalia per complessità olfattiva e gustativa, di fiori e frutta gialla. Finale minerale lunghissimo di grande soddisfazione. Doc minore e misconosciuta, passando ai rossi, la Ormeasco di Pornassio è prodotta a partire da uve dolcetto, che qui assumono sentori del tutto peculiari rispetto ai più noti dolcetti piemontesi. Ragguardevole il Pornassio superiore 2014 della cantina Guglierame, rubino con tipici riflessi violacei, rilascia in bocca, avvolta da tannini morbidi, interessanti note di cacao.