Silvana Campese, napoletana, scrittrice, attivista, col nome di Medea, nel gruppo femminista delle Nemesiache di Lina Mangiacapre/Nemesi, ha dato alle stampe il suo ultimo romanzo "Parthenope Inferno Celeste - I molteplici volti dell’umanità" (Phoenix Publishing).

In "Parthenope Inferno Celeste - I molteplici volti dell’umanità" l'autrice, attraverso vite, vicissitudini, passaggi epocali e molteplici eventi, anche naturali come il terremoto del 1980, e seguendo le esperienze umane dei numerosi personaggi di primo e secondo piano, ha ricostruito un quadro storico-politico-sociale di una saga familiare ambientata a Napoli, a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale per giungere agli albori del Terzo millennio.

E in occasione della pubblicazione, abbiamo avuto il piacere e l'onore di porre alcune domande a Silvana Campese (nella foto di Umberto T. Vocaturo).

Un romanzo in cui la narrazione degli eventi storici diviene descrizione del sociale e viceversa. Il tutto in un lasso che abbraccia cinquant’anni. Da cosa è dipesa la scelta di tale collocazione temporale?

SC - "Io, anche quando invento storie, scrivo di ciò che conosco per competenze, per formazione culturale e soprattutto per esperienza personale e diretta. Anche in Parthenope Inferno Celeste ho trattato di cose che, almeno in gran parte, conoscevo o addirittura avevo vissuto anche se le ho poi sviluppate non in senso strettamente autobiografia come feci in "Prisma", il mio primo romanzo edito. Quindi, essendo del '48, ho attinto ai miei ricordi dagli anni '50 in poi e alle narrazioni che in famiglia mi facevano i ‘grandi’ ma più di tutti il nonno materno, uomo di cultura, e mio padre, socialista e con un senso pratico della vita e della politica molto sviluppati. Inoltre il mio libro è in primis il risultato di una rielaborazione, attualizzazione e ulteriore sviluppo di un manoscritto di una ventina di anni fa, nato da una esperienza di lavoro che fu per me una sorta di inquietante rivelazione sia sul piano politico e sociale che su quello umano e relazionale. Quella esperienza, in quanto ai fatti veri e propri di cui fui purtroppo testimone ed in parte protagonista e vittima, è riprodotta, fatte le debite differenze, attraverso i personaggi di Pasquale e Justine. Quel manoscritto, che è rimasto per anni nel famoso cassetto, è stato sempre una fonte preziosa, praticamente ancora non esaurita, per altri miei successivi lavori letterari.  Anche perché quella esperienza lavorativa potenziò in me la capacità fortemente intuitiva e preveggente che più volte ho verificato negli anni successivi... Quelli cioè che vanno dagli ultimi del secondo millennio in poi. Però, quando mi sono accinta a rielaborare quel testo, ho sentito molto forte l'esigenza di ampliare in senso temporale ma anche contenutistico, sia il percorso storico che l'anamnesi familiare di colei che ne è così diventata la vera protagonista e cioè Maria, sorella di Pasquale e soprattutto zia di Justine. Il suo personaggio mi è molto servito perché per approfondirlo e giustificarlo, per così dire, ho inventato Michele, Catello, Carmela e gli altri e quindi sono partita dal primo ventennio del secolo scorso. Non ho mai pensato ad altro luogo che non fosse Napoli poiché la considero non solo teatro della storia ma protagonista principale. Da qui Parthenope..." 

"Parthenope Inferno Celeste" è ricco di approfondimenti e spunti di riflessione filosofici (“Amore per la sapienza … Attività intellettuale che mira a una concezione complessiva e razionalmente fondata della realtà, del mondo e dell'uomo” si legge nel libro) e antropologici, che toccano temi anche di educazione civica (“E cosa significa Politica” - ne sarebbe stato contento Aldo Moro); per tutti mi vengono in mente i richiami all’homo homini lupus (di plautina memoria) del De Cive di Hobbes, al De tranquillitate animi e all’ Apokolokyntosis di Seneca. In un periodo storico come il nostro, che ha visto la caduta delle grandi ideologie e in Italia, con la seconda repubblica, la fine della politica come professione (difficilmente vi saranno altri statisti), quanto diviene importante un accurato e mirato studio scolastico di materie come la storia, la filosofia e l'educazione civica?  

SC - "Penso da sempre che sia molto importante ed a maggior ragione in questa fase che definire di transizione è veramente un eufemismo. Per me è di irresponsabile e ottusa precipitazione... Che non può fare meno orrore riconoscendovi la nemesi storica inesorabilmente in atto dal momento che stravolge ed ancora più stravolgerà in tempi brevi la vita dei nostri figli, i nostri nipoti e a livelli assolutamente spietati! Tutto ciò è il drammatico risultato di decenni di saccheggio e depauperamento ai danni della istruzione, della cultura, dello studio e dell'apprendimento della storia, della filosofia, dell'educazione civica ma non solo. I prodromi erano già intuibili quando non espliciti negli anni precedenti… Ma fu negli ultimi del secondo millennio che si manifestò in tutta la sua potenza l’opera di smantellamento delle coscienze civili e politiche. Io decodificavo con grande preoccupazione quasi tutti i segnali ma ricordo che spesso anche per me, che nel mio piccolo provavo sempre e ovunque potessi a lanciare SOS, le risposte erano il più delle volte di uno snobismo “intellettuale” insopportabile. Una per tutte? “Nessuno ti obbliga a seguire i canali commerciali e le trasmissioni subculturali! Esiste il telecomando…” Fatte le debite proporzioni, io dico che la rovina è iniziata così, anche da sinistra! In un altro mio libro, che riguarda il percorso da me fatto come femminista individualmente e soprattutto insieme al gruppo di riferimento delle Nemesiache (cinquant'anni di storia, dal 1968 al 2018)  ho molto approfondito questi argomenti come anche il gravissimo danno che è stato perpetrato dall’invasiva e martellante invasione delle emittenti televisive private, nazionali e locali di tipo commerciale, ovvero che si basano sul finanziamento prodotto dalla pubblicità. Il fenomeno determinò una serie di conseguenze devastanti sul piano culturale e sociale"

Non mancano momenti lirici come nell’incipit del testo originale dell’ “Arcipelago familiare” di Medea degli Esposti. Un cambio di registro stilistico che sottolinea con maggior forza la propria tematica, così come gli scritti del “quaderno nero con copertina lucida e bordi rossi”; quanto è ancora urgente e forte la necessità di denuncia degli abusi perpetrati sulle donne? 

SC - "Lo è ancora più di prima! Siamo in emergenza da tempo e in pieno terzo millennio più che mai: il maschile peggiore, patriarcale, maschilista e sessista in fase di ‘revanche’ a tutti i livelli. Discriminazioni, ingiustizie, soprusi e abusi, inauditi atti di violenza sulle donne fino agli stupri più efferati ed ai così detti femminicidi. Termine che vuole significare delitti in cui le donne vengono uccise in quanto donne. Perché donne! E comunque basterebbe già solo ascoltare e vedere i commenti ed i comportamenti omertosi o peggio ancora le inerzie sconcertanti che seguono dopo stupri, femminicidi e violenze varie sulle donne per comprendere che non siamo poi così progredite/i nelle relazioni uomo-donna rispetto ad un passato che lungi dall'essere remoto, era solo dove in agguato, dove da sempre "presente". Ancora una volta non posso fare a meno di riferirmi al mio percorso politico di lotta per la liberazione del femminile, per l’attuazione sostanziale e non solo formale delle pari opportunità e quindi della vera parità. Uguaglianza non significa emancipazione, clonazione, colonizzazione, assimilazione... Bisogna lottare ancora moltissimo per la parità delle e nelle diversità e differenze, che è la sola ‘uguaglianza’ per me accettabile. Lotta che noi Nemesiache abbiamo portato avanti con grande impegno in nome della bellezza, dell’arte e della creatività femminile. La  violenza sulle donne, contro le donne è un fenomeno trasversale e globale. Nonostante il femminismo ed in particolare il neofemminismo anni ’70, purtroppo l'intero sistema "culturale" globale mostra, dove più, dove meno, ma ovunque e a tutti i livelli di sviluppo e di evoluzione e progresso civile, di avere ancora le sue fondamenta maschiliste e patriarcali nell’indifferenza o peggio ancora nell'omertà. In prevalenza, come è ovvio, da parte degli uomini verso ogni manifestazione di violenza verbale e/o comportamentale ai danni delle donne ma – ahimè – anche da parte di molte donne. Infatti, purtroppo  non è una novità che la mentalità, la subcultura e tutti gli annessi e connessi vengano trasmessi di generazione in generazione non solo di padre in figlio ma di madre in figlie e figli e se non c'è una profonda coscienza femminista, persino le donne "emancipate" vivono in funzione ed al servizio di questa "trasmissione"... Negli ultimi decenni poi molto di quel che era stato conquistato culturalmente e politicamente dalle donne, con la paternalistica accondiscendenza di maschi al potere ma senza un loro reale e sostanziale cambiamento dalle fondamenta ( proprio quelle di cui sopra...), tanto meno di sincera alleanza, è stato in parte gradualmente annullato o distrutto da fenomeni collegati alla trasformazione dell'assetto economico/politico, voluta e perpetrata ai vertici del potere e soprattutto dai poteri forti dietro le quinte dell'ufficialità nonché dai conseguenti fenomeni di degrado morale, culturale, civile, sociale... Ho una formazione giuridica e soffro particolarmente per il ritorno al passato anche in campo istituzionale, normativo e soprattutto giurisdizionale... Il DdL 45 (Pillon...) che tanto scandalizzava per i suoi contenuti e per il maschilismo odioso che lo sottende, è frutto di quel pensiero diffuso ovunque e capillarmente che in molti casi è nascosto, latente, mistificato ma pronto a venir fuori appena i contesti diventano più "favorevoli". Lo sconcertante uso e abuso interpretativo della così detta PAS (Sindrome da alienazione parentale) prevalentemente ai danni delle mogli e madri ‘ribelli’, a cui vengono sottratti i figli, spesso impedendo loro di averne notizia, di coltivare un minimo di rapporto e di frequentazione, è non solo una forma di odiosa violenza ma anche una vergogna ed un obbrobrio sul piano giuridico e giurisdizionale. E a volte mi viene da piangere se scopro che ad accanirsi in questo sono purtroppo molte volte donne ‘emancipate’ nell’esercizio dei ruoli e delle funzioni che svolgono in simili circostanze. Assistenti sociali, avvocate, magistrate... Lo stesso senso di sconcerto e frustrazione mi prende quando leggo le motivazioni di sentenze di assoluzione o di condanne minime in relazione a stupri individuali o di gruppo rispetto ai quali verifico con rabbia e con dolore che anche in molti di quei casi ad emanarle sono donne! Giudici donna!

MS