NAPOLI. Sono ben 121 su 941 le scuole che in Campania rischiano nei prossimi tre anni di perdere il “dirigente scolastico”. Il numero è in assoluto il più alto d’Italia (in cui la perdita totale stimata è 627) e supera la somma delle “perdite” di Puglia, Calabria, Basilicata e Molise messe insieme.

AMMINISTRATIVAMENTE, QUAND’È CHE UNA SCUOLA PERDE IL DIRIGENTE? La legge 111/2011 prevede che possano essere assegnati dirigenti scolastici (Ds) e direttori dei servizi generali e amministrativi (Dsga), con incarico a tempo indeterminato, esclusivamente alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni superiore a 600 unità. Queste sedi vengono dette “normodimensionate”. Quelle con un numero di alunni inferiori ai predetti limiti (dette “sottodimensionate”) sono costrette a condividere il Ds e il Dsga con un’altra scuola, in situazioni spesso insostenibili. Le leggi di Bilancio 178/2020 e 234/2021 hanno ridotto i predetti limiti (per i soli anni scolastici 2021/22 – 2022/23 – 2023/24) a 500 e 300 e hanno stanziato un totale circa 120 milioni di euro per assegnare i dirigenti scolastici alle sedi il cui numero di alunni fosse compreso tra 500 e 600 (per quelli in deroga compreso tra 300 e 400). Queste sedi vengono dette “neodimensionate”. Questi fondi non sono stati mai utilizzati nonostante ci siano ancora vincitori presenti nella graduatoria di merito al concorso per dirigenti scolastici emanato nel 2017. Nel presente anno scolastico 2022/23, ci sono 8.136 sedi scolastiche (7.500 sedi normodimensionate e 636 sottodimensionate) a fronte di 7.172 dirigenti scolastici. Un problema – parrebbe – di fondi, e di semplice gestione amministrativa, ma non è così.

LA DISPERSIONE SCOLASTICA. È un fenomeno che raramente fa notizia, invece, dice molto e come pochi altri fenomeni può aiutare a capire quanto è equa una società. E per chi ha a cuore valori come l’uguaglianza sostanziale non ci sono buone notizie: i giovani lasciano la scuola, o la frequentano in modo irregolare, anche per motivi socio-economici. Povertà della famiglia o del territorio di origine, differenze culturali o di genere, incertezza delle prospettive occupazionali, scarsa efficacia dell’istruzione ricevuta in passato sono solo alcuni esempi. Purtroppo la situazione non è destinata a risolversi con il finire dell’età scolare: la mancanza di un titolo di studio condannerà i giovani e le giovani che hanno abbandonato la scuola ad avere meno opportunità, perpetuando le disuguaglianze che hanno generato il fenomeno.

L’ABBANDONO SCOLASTICO. Secondo i dati diffusi dal Miur a lasciare la scuola media e superiore sono soprattutto i maschi, gli alunni stranieri, i residenti nel Mezzogiorno e coloro che sono in ritardo scolastico. Secondo Eurostat, nel 2022 l’11,5% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente la scuola, fermandosi alla licenza media e anche in questo caso le differenze sono legate al territorio, all’ambiente sociale di origine, al genere e alla cittadinanza. In generale, possiamo riferirci alla dispersione scolastica come alla «mancata, incompleta o irregolare fruizione dei servizi dell’istruzione da parte dei giovani in età scolare»: la dispersione può avvenire a diversi stadi del percorso scolastico e può consistere nell’abbandono, nell’uscita precoce dal sistema formativo, nell’assenteismo, nella frequenza passiva o nell’accumulo di lacune che possono inficiare le prospettive di crescita culturale e professionale. Secondo il Miur, nell’anno scolastico 2018-2019 e nel passaggio al successivo hanno abbandonato la scuola media 9.445 alunni, pari allo 0,56% del totale nazionale, mentre altri 6.322, pari allo 0,37%, hanno lasciato nel passaggio tra i cicli scolastici di primo e secondo grado. Numeri più consistenti riguardano la scuola superiore, dove gli abbandoni sono stati in totale 86.620, pari al 3,33%. In pratica 102 mila studenti hanno abbandonato la scuola italiana in un solo anno scolastico. Un dato preoccupante, destinato ad accumularsi a quelli dei periodi precedenti. La dispersione scolastica in Italia, sia nella scuola media che nella superiore, riguarda principalmente i maschi. Secondo il report abbandonano le scuole medie lo 0,59% dei maschi contro lo 0,51% delle femmine, divario che cresce alle superiori (4% dei maschi e 2,6% delle femmine). La dispersione scolastica è più consistente nel Mezzogiorno, dove per la scuola media i tassi più alti si trovano in Sicilia, Calabria e Campania. Per la scuola superiore il quadro è simile, ma con numeri proporzionalmente più alti: qui i tassi di abbandono sono del 4.5% in Sardegna, 4,1% in Campania e 3,9% in Sicilia. Il momento più critico è la transizione tra le medie e le superiori. Nel delicato passaggio tra i due cicli scolastici sono 6.322 gli alunni che hanno abbandonato la scuola, pari all’1,14% di coloro che hanno frequentato il terzo anno della media. Secondo i dati Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), nel 2022 si stima che la dispersione scolastica totale, implicita ed esplicita, superi il 20% a livello nazionale. La dispersione scolastica implicita riguarda il 9,7% di alunni e alunne; solo il 56% degli alunni di terza media raggiunge i livelli di competenze previsti in matematica, e il 61% in italiano. L’analisi più completa dei dati delle ultime prove Invalsi restituisce un quadro simile a quello visto finora: le prestazioni degli studenti calano nel Mezzogiorno e tra gli allievi che provengono da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli.

L’EQUITÀ SCOLASTICA. Sempre secondo le rilevazioni, inoltre, la scuola italiana è meno equa nelle aree più disagiate del paese, dove i risultati sono molto diversi tra scuola e scuola, o tra classe e classe. Ciò significa che gli alunni più deboli economicamente e culturalmente tendono a raggrupparsi in alcune scuole, creando una sorta di “ghetto educativo” da cui discendono dinamiche a cascata: l’apprendimento degli alunni sarà influenzato dal livello generale dei compagni più che dalle caratteristiche personali, mentre gli insegnanti saranno portati a ricalibrare programmi e metodi sulla base delle contingenze, penalizzando così gli studenti di livello potenzialmente più alto. Il territorio di appartenenza conta, quindi, ma conta anche l’ambiente sociale, economico e culturale di provenienza. In tutte le materie testate da Invalsi emerge che il punteggio cresce al crescere dello status sociale, con scarti maggiori tra i punteggi bassi e medio-bassi rispetto a quelli alti. Lo status influisce anche sulla scelta della scuola superiore: a parità di risultati scolastici, coloro che vengono da contesti più agiati sono più propensi a orientarsi verso i licei rispetto a coloro che vengono da famiglie modeste. Anche la cittadinanza incide sui risultati scolastici, soprattutto a svantaggio degli stranieri nati all’estero.

DISPERSIONE SCOLASTICA E NEET. La dispersione scolastica è direttamente collegata con il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training), ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di istruzione o di formazione. È un fenomeno che riguarda, secondo i dati Istat del 2022, il 19% degli italiani tra i 15 e i 29 anni e che colpisce di più le donne, i disabili, coloro che hanno un background migratorio, coloro che provengono da situazioni familiari svantaggiate e coloro che vivono in aree remote. Sull’argomento c’è moltissimo altro da dire, e noi l’abbiamo fatto qui. La dispersione scolastica in Italia è quindi un fenomeno a cui fare molta attenzione, perché può influenzare tutta la vita di milioni di ragazzi e ragazze.