ROMA. Sembrava che la qualità e la quantità delle  prove a carico fossero schiaccianti  e non lasciassero alcuna speranza  a colui che era ritenuto, insieme a Bernardo Tamarisco,  il promotore ed organizzatore di una vasta associazione finalizzata al traffico di cocaina, con importazioni dall’Ecuador  e dalla Colombia, operante in Napoli e provincia, Salerno, Messina e Caserta. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia  Alessandro Montella, Claudio Scuotto e Antonio Leonardio, in uno alle imponenti intercettazioni ambientali ed alle video riprese,  avevano costituito un quadro solido che aveva portato alla condanna di Vincenzo Langiano alla elevata pena di 36 anni di reclusione alla luce del riconoscimento della sua  penale responsabilità sia per il delitto associativo sia per ben sette  episodi  di importazione, pena, poi, di fatto,  trasformata in 20 anni alla luce del rito abbreviato  prescelto. Quando il processo  sembrava avere un esito scontato anche nell’ultimo grado di giudizio, si è verificato  il colpo di scena. La Suprema Corte di Cassazione, quarta sezione penale, che ha visto come presidente la dott.ssa Piccialli e come relatrice la dott.ssa Cappello, nonostante il Procuratore Generale avesse chiesto il rigetto del ricorso, ha accolto una complessa questione giuridica sollevata  con determinazione dagli avvocati Dario Vannetiello e Alessandro Pignataro, annullando sia la sentenza emessa dalla sesta sezione della Corte di appello di Napoli  in data 18.07.18, sia  la sentenza emessa in primo grado emessa dal giudice dell’udienza preliminare in data 22.03.17. A portare al clamoroso esito un vero e proprio cavillo giudiziario: gli avvocati Vannetiello e Pignataro  hanno sostenuto con successo che si era verificata una nullità assoluta nel giudizio di primo grado, rappresentata dalla violazione del diritto  di difesa, atteso che era stato  chiesto l’interrogatorio dell’accusato,  ma il giudice aveva consentito a Langiano solo di rilasciare dichiarazioni spontanee. Il  tema era stato posto anche innanzi alla Corte di appello di Napoli, sesta sezione penale, presieduta dalla Dott.ssa Antonia Gallo, ma i giudici partenopei  avevano ritenuto che trattavasi di nullità non avente carattere assoluto e non determinante  la nullità della sentenza di primo grado. Ma il tecnicismo  giuridico del ricorso redatto dalla difesa del capo cosca,  il quale  era pure recidivo specifico, ha finito per convincere gli esperti giudici della Suprema Corte. Dunque, per colui che avrebbe promosso ed organizzato la temibile organizzazione facente capo alla famiglia  Tamarisco, con quartiere generale in Torre Annunziata, il processo è  completamente da rifare ed il cui esito non è possibile preventivare, con ripartenza  addirittura innanzi ad un nuovo giudice dell’udienza preliminare, circostanza questa che si verifica in rarissimi casi ed è del tutto eccezionale. Con la medesima sentenza la Suprema Corte ha invece confermato le condanne ad anni venti inflitti a Tamarisco Bernardo e Civale Salvatore, mentre nei confronti di altri ricorrenti  ha parzialmente annullato la sentenza di appello, seppur limitatamente alla pena inflitta per i vari delitti di detenzione di cocaina in quanto nelle more è intervenuta la decisione della Corte Costituzionale che ha abbassato il minimo edittale da anni otto ad anni sei di reclusione. Coloro che dovranno rifare il giudizio innanzi  a diversa sezione della Corte di appello onde verificare se  sono meritevoli di una riduzione della pena sono: Vincenzo Barbella, Antonio Bartolo, Antonio Cirillo, Pasquale Corvino, Michele Pagano, Angelo Renato, Claudio e Davide Scuotto.