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15 Giugno 2022 - 15:18
Il gup di Napoli ha rinviato a giudizio i genitori di Emanuele Sibillo, capo della cosiddetta "paranza dei bambini", gruppo criminale attivo nel centro storico di Napoli nei primi anni '10, ucciso il 2 luglio 2015. Ai coniugi Vincenzo Sibillo e Anna Ingenito vengono contestati i reati di estorsione e violenza privata aggravati dal metodo mafioso in relazione alla realizzazione di un busto in gesso con le sembianze di Emanuele Sibillo, esposto per anni in un'edicola votiva nella corte condominiale del palazzo in vico Santissimi Filippo e Giacomo, nel cuore del centro antico di Napoli, in cui dimorava Emanuele Sibillo e dove tuttora vivono alcuni dei suoi familiari.
La prima udienza del processo è stata fissata per il 27 settembre. Secondo i pm della Procura di Napoli i genitori di Emanuele Sibillo, difesi dall'avvocato Rolando Iorio, insieme ad altre persone in corso di identificazione, avrebbero realizzato illecitamente il manufatto costringendo i condomini a subire la spoliazione del diritto di uso della cappella votiva esistente in precedenza. Il busto è stato sequestrato il 29 aprile 2021 dai Carabinieri del Comando provinciale di Napoli, coordinati dalla Dda partenopea, nell'ambito di un'operazione che ha portato all'esecuzione di 21 misure cautelari nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti vicini al clan camorristico.
Dalle indagini emerse il "ruolo" dell'altarino dedicato a "ES17", così era soprannominato il giovanissimo capo della "paranza dei bambini", che negli anni era diventato funzionale alle attività del clan. In un caso, hanno ricostruito gli investigatori, un commerciante vittima di estorsione è stato trascinato davanti all'altare e costretto a inginocchiarsi e a riconoscere il potere e la supremazia del gruppo criminale. L'altarino era diventato meta di "pellegrinaggio" per gli affiliati al clan e anche per giovanissimi estranei alle logiche criminali, affascinati dall'immagine di Sibillo che ha assunto con il tempo carisma e popolarità crescenti. Il busto sequestrato oggi è esposto al Museo criminologico di Roma.
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