NAPOLI. Si è avvalso della facoltà di non rispondere il boss Luigi Cimmino, davanti al gip di Napoli Marcopido che nei giorni scorsi, su richiesta della Dda, ha emesso nei suoi confronti una misura cautelare in carcere nell'ambito dell'indagine sugli appalti ospedalieri finiti nelle mani dei clan napoletani. Collegato in video-conferenza dalla casa circondariale dove si trova detenuto, il capo dell'omonimo clan del Vomero ha dichiarato di non essere, per ora, in grado di difendersi alla luce dei voluminosi atti che lo riguardano. Nell'ultimo processo che lo ha visto imputato, Cimmino, a fronte di una richiesta di 18 anni formulata dal pm, ottenne una condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione, grazie all'accoglimento di una serie di richieste formulate dalla difesa, in particolare grazie all'esclusione dell'aumento per la recidiva malgrado fosse stato condannato già due volte per il reato di associazione mafiosa con ruolo verticistico sin dagli inizi degli anni novanta. Proprio per questo Cimmino era stato scarcerato, pochi giorni fa, e si trovava in libertà vigilata in un comune del Lazio, prima di finire nuovamente in manette. Il boss ha nominato come suo legale l'avvocato Dario Vannetiello ma il penalista ha fatto pervenire in aula una dichiarazione di non accettazione di incarico in quanto da oltre due anni quali nuovi incarichi accetta solo difese innanzi alla Suprema Corte di Cassazione. Per controllare gli appalti ospedalieri la camorra operava attraverso estorsioni e pressioni sulle imprese, contribuendo così ad affermare il controllo egemonico sul territorio e sulle attività economiche, lecite e illecite, del quartiere collinare. Personaggio centrale dell’inchiesta è Andrea Basile, destinatario della misura cautelare insieme alla moglie Anna Esposito, il quale reggeva il clan Cimmino da quando il boss Luigi finì dietro le sbarre. Ma secondo l’accusa quest’ultimo, grazie al figlio Franco Diego, continuava ad avere le mani in pasta. Così come nell’inchiesta sono finiti altri perso naggi noti alle forze dell’ordine come Antonio Teghemie, indagato a piede libero e marito di Maria Licciardi, e Renato Esposito dello stesso clan; Salvatore Frizziero della Torretta. L’inchiesta coordinata dalla procura di Napoli (pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano) si regge su un anno e mezzo di indagini condotte dalla sezione “anticorruzione” della squadra mobile di Napoli, avviate dopo le dichiarazioni di un imprenditore, precedentemente colpito da arresti per corruzione per la gestione di appalti al Cotugno, che ha raccontato agli inquirenti di essere stato costretto a pagare una tangente in più tranche, di 20mila euro, ad Andrea Basile. Gli approfondimenti investigativi hanno acceso i fari sul gruppo Cimmino-Caiazzo, legato al temibile cartello dell’Alleanza di Secondigliano e componente dell’asse di camorra che comprende altri clan napoletani. Nel mirino sono poi finiti anche gli imprenditori Marco Salvati, titolare di fatto della “Croce San Pio”, associazione che si occupa del trasporto degli infermi con ambulanze, Raffaele e Giuseppe Sacco, noti imprenditori napoletani che operano nel settore della distribuzione del cibo negli ospedali.