NAPOLI. Napoli di notte: via Duomo, una donna rientra a casa da sola. E le succede il peggio. «Mi sono ritrovata in un incubo: aggredita per una rapina. Scaraventata a terra e picchiata con pugni e calci da un uomo che, forse, non capiva nemmeno le mie parole». È il racconto della dottoressa Chiara Lanza Volpe, 32 anni, siciliana di Capo d’Orlando, chirurgo e assistente del professor Ludovico Docimo all’ospedale Pellegrini di Napoli.

«Questa è una città bellissima -dice - Vivo qui da 5 anni. Ma ora voglio andare via, perché negli ultimi due anni non è più come l’ho conosciuta al mio arrivo. È degrado e abbandono. Ho paura ad attraversarla».

È spaventata per quello che le è successo venerdì scorso?

«Lo sono, certo. Ma anche perché questa è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sei mesi fa mi hanno rubato la macchina e 5 giorni fa ho subito il furto del cellulare, mentre camminavo di sera, tra la folla, nei vicoli dei Decumani. Ero anche accompagnata da un amico».

Com’è andata?

«Mi sono sentita sfiorare e ho trovato la mia borsetta aperta. Dentro avevo solo il cellulare ed era già sparito».

Potremmo dire, purtroppo, che il furto dell’auto e anche il cellulare che le hanno sfilato dalla borsa sono dei brutti episodi che possono capitare in ogni altra grande città del mondo…

«Sì, è vero. Ma l’aggressione fisica dell’altra sera mi ha veramente scosso. Mi sono chiesta: ne vale la pena? È che ho vissuto tre esperienze molto sgradevoli, in un crescendo di azioni malvage e di pericolo».

Saprebbe riconoscere l’uomo che l’ha aggredita?

«Sì. Certo, quando si tratta di un uomo di colore puoi riferire meno sulle sue caratteristiche: non puoi dire che aveva capelli biondi o castani, se aveva la barba. Ma i suoi occhi non li dimenticherò mai. E saprei riconoscerlo tra molti».

Com’è accaduto?

«Stavo rientrando alle 2 di notte. Camminando da sola nei Decumani non avevo mai avuto la sensazione di essere in pericolo. Negli ultimi due anni, però, sarà stato pure per via della pandemia, Napoli è stata abbandonata, è diventata invivibile. Avevo le chiavi in mano per avviarmi verso casa, a via Duomo, quando ho avvertito una mano nella tasca del soprabito dove avevo solo un piccolo cellulare di scarso valore, perché cinque giorni fa il mio me lo avevano già sottratto. Il rapinatore si è impossessato di questo cellulare sfilandolo dalla tasca e poi mi ha strattonato facendomi cadere. E, mentre ero a terra, ha cominciato a prendermi a pugni nei fianchi, dove avevo la borsetta. Probabilmente per portarmela via. Gli chiedevo solo cosa volesse. Non intendevo mettermi contro un malvivente. Ma lui continuava a picchiarmi e a darmi calci. Allora ho avuto davvero paura che volesse uccidermi o violentarmi. Volevo gridare. Ma il terrore mi ha letteralmente strozzato la voce in gola».

Si è impossessato della borsetta?

«Quando ho capito che non riuscivo a urlare per chiedere aiuto, è scattato l’istinto di sopravvivenza e ho cominciato a sferrargli calci alle gambe per difendermi… All’improvviso, lui è scappato. La borsa non l’ha presa».

Pensa che fosse ubriaco, drogato?

«Non saprei. Può darsi. In tal caso ho rischiato la vita proprio come temevo».

Deve essere alquanto forte, per averlo messo in fuga. Fa dello sport?

«Non ne avrei il tempo. Lavoro tanto da chirurgo tra il Pronto soccorso e il reparto di Chirurgia. Mi sono specializzata solo qualche mese fa e ho subito iniziato al Pellegrini. Saltuariamente sono in clinica e, inoltre, seguo un master all’Università. Faccio tante cose. Ma forse un corso di autodifesa non guasterebbe».

Quale conseguenza fisica ha riportato dall’aggressione?

«Ho un ematoma sulla coscia che è gonfia e ho un dolore alla spalla, prendo un antidolorifico e lo rendo sopportabile. Poi ho un livido al ginocchio. Ma mi sono controllata e posso dire che è tutto a posto».

Ha descritto tutta questa sua terribile esperienza su Facebook…

«Condividere su Facebook era una cosa che non facevo più da quando ero adolescente. Ma stavolta ho sentito il dovere di comunicare a tutti che cosa mi era successo. L’ho fatto a caldo, subito, perché si sappia quello che può accadere a Napoli».

Non ha pensato di suscitare preoccupazioni nei suoi genitori che vivono in Sicilia?

«Li ho tranquillizzati. Sanno che me la sono sempre cavata da sola, che sono abbastanza forte per affrontare anche i disagi di una città a rischio. Loro hanno solo temuto che tutto questo mi stesse accadendo per qualche ragione a loro sconosciuta, come una sorta di persecuzione. Gli ho spiegato che non era così».

Però era legittimo che lo temessero. In fondo, lei lavora al Pellegrini, dove anche le aggressioni a medici e infermieri sono assai frequenti.

«Sì, va detto anche questo. Siamo bersaglio di molta aggressività anche sul luogo di lavoro».

Ora come si sente?

«Spaventata e amareggiata. Stamattina i colleghi mi avevano concesso di riposare. Ma ho preferito venire a lavorare ugualmente. Solo che ho evitato di camminare a piedi, come faccio sempre. Ho chiamato un taxi, perché desidero sentirmi più protetta».

Ha ricevuto attestazioni di solidarietà?

«Tante. Da colleghi, da amici e anche da persone che non mi conoscono e hanno letto quello che mi è successo. Speriamo che questo mio racconto possa servire a mettere in guardia qualcuno. Che non ci siano più vittime di tanta violenza, come lo sono stata io».