di Luigi Sannino

NAPOLI. Imparentato con i Formicola e legato allo storico clan di San Giovanni a Teduccio alleato dei Mazzarella, ma soprattutto mente finanziaria capace di accumulare beni per 2 milioni e mezzo di euro. Ecco il profilo di Giuseppe Savino, 45enne residente a Volla, unico latitante di spicco collegato alla criminalità organizzata del quartiere orientale di Napoli. È accusato di impiego di beni di provenienza illecita commesso per agevolare un’associazione camorristica, emissione di fatture per operazioni inesistenti e trasferimento fraudolento di valori. Tutto condensato in un’ordinanza di custodia cautelare che gli investigatori non hanno potuto eseguire perché “Peppe” è sparito e ora è ricercato.

Mentre invece è andato in porto il sequestro a suo carico di immobili e valori mobili, notificato dai poliziotti della divisione amministrativa della questura alla moglie. Secondo l’accusa Giuseppe Savino agiva in combutta con altri 2 esponenti di primo piano della malavita di San Giovanni a Teduccio: Salvatore Fido “’o chiò” e Maurizio Donadeo, i quali sono indagati a piede libero perché già in carcere per altre accuse. Per gli inquirenti della Dda, ferma restando la presunzione d’innocenza degli indagati fino all’eventuale condanna definitiva, in 7 avevano attuato un complesso sistema per evadere le imposte, evitando che potessero essere individuati i proventi derivanti dalla vendita di carburanti.

A ideare le complesse manovre finanziarie era Salvatore Abbate detto “Tore ‘a cachera” e il sistema era simile a quello già scoperto altre volte in situazioni analoghe dai finanzieri. Una società “cartiera”, definita così perché fondata su carte e non su attività reali, provvedeva a emettere fatture per operazioni inesistenti sotto la regia di Giuseppe Auletta, considerato un prestanome di Savino. Alla fine di un tortuoso giro di danaro a lui, a Fido e a Donadeo venivano restituiti i soldi con la detrazione di una commissione di favore del 2 per cento per l’“opera” prestata.

A tutti e tre è stata contestata anche l’aggravante camorristica per aver agevolato i Mazzarella. Savino nel corso degli anni si è specializzato nelle frodi fiscali attuate mediante la commercializzazione di prodotti petroliferi esenti da Iva: apparentemente destinati all’esportazione, in realtà erano venduti in Italia. Funzionale a questo meccanismo era l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, emesse da società “cartiere” create ad hoc. Il 45enne già in passato era finito in inchieste simile, come nel 2016. Allora fu destinatario di una misura restrittiva del tribunale di Catania quale “promotore e organizzatore di un’associazione tesa a sottrarre prodotti petroliferi al pagamento delle imposte”. Nel 2019 fu indagato a Napoli per aver organizzato un gruppo che dal 2012 al 2015 aveva sottratto all’erario Iva per molti milioni di euro. Il provvedimento di sequestro, che precede la confisca, ha fatto luce un ingente patrimonio nella disponibilità di Savino, acquisito attraverso l’impiego di denaro proveniente da illecite attività per un valore complessivo di circa 2 milioni e mezzo di euro. Gli sono stati sequestrati alcuni depositi a San Giovanni e società operanti nel commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi.