Tangenti e processi a rilento, condannati cancellieri infedeli
Fascicoli alterati, pugno duro anche verso gli avvocati coinvolti. L’ex funzionario della Corte d’appello incassa quasi dieci anni
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Sab 25 Luglio 2020 15:46
NAPOLI. Accesso abusivo ai sistemi informatici, corruzione in atti giudiziari, violazione del segreto istruttorio, occultamento di fascicoli processuali. Dopo l’inchiesta che nel gennaio del 2013 ha svelato un presunto vorticoso giro di tangenti negli uffici del Palazzo di Giustizia di Napoli, per gli imputati che hanno scelto di essere processati con il rito ordinario ieri pomeriggio è arrivato l’agognato verdetto.
Una sentenza, quella emessa dalla quarta sezione penale, che però si è rivelata ben al di sotto delle aspettative della pubblica accusa per diverse posizioni. La Procura aveva infatti chiesto complessivamente oltre 280 anni di carcere, riuscendone a ottenere invece poco superiore alla metà. I giudici di primo grado hanno dunque emesso la seguente sentenza di condanna: Ciro Andolfi, 6 anni e 8 mesi; Isabella Ambrosino, 4 anni; Gennaro Attena, 5 anni; Raffaella Basile, 4 anni e 3 mesi; Domenico Cante, 4 anni e 3 mesi; Anna Maria Castagliuolo, 3 anni e 6 mesi; Gaetano Coppola, 4 anni; Rosario Crocella, 3 anni e 6 mesi; Annunziata Cuccaro, 3 anni e 6 mesi; Francesco Del Gaudio, 4 anni e 9 mesi; Giancarlo Di Meglio, 7 anni; Andrea Esposito, 4 anni; Agrippino Ferone, 4 anni e e 3 mesi; Vincenzo Fioretti, 6 anni e 8 mesi; Pasquale Giordano, 6 anni e 11 mesi; Maria Iacolare, 3 anni e 6 mesi; Luca Lamanna, 3 anni e 6 mesi; Giuseppe Lampitelli, 4 anni; Giorgio Pace, 4 anni; Amalia Palumbo, 3 anni e 6 mesi; Mario Pannain, 4 anni; Giovanni Perfetto, 4 anni; Mariano Raimondi, 9 anni e 9 mesi; Angela Russo, 3 anni e 6 mesi; Francesco Venezia, 7 anni; Giancarlo Vivolo, 7 anni; Stefano Zoff, 4 anni e 9 mesi; Patrizia Zunta, 3 anni e 6 mesi.
Il tribunale ha dichiarato prescritte diverse contestazioni, per le quali non si è quindi proceduto, e disposto anche alcune assoluzioni, tra cui quella in favore di Carmela Buonerba. In tutto erano 45 le persone finite all’epoca sotto indagine.
I provvedimenti eseguiti nel gennaio di sei anni fa riguardavano vicende che sarebbero, secondo la ricostruzione della pubblica accusa, state commesse all’interno degli uffici giudiziari, in particolare presso la Corte d’appello di Napoli e il Tribunale di Sorveglianza. L’ordinanza era stata firmata dal giudice Paola Scandone su richiesta dei pm Gloria Sanseverino e Antonella Fratello.
L’inchiesta aveva inizialmente portato in carcere due dipendenti della Corte d’appello, Mariano Raimondi e Giancarlo Vivolo, e un faccendiere, Vincenzo Michele Olivo. Proprio per Raimondi in sede di requisitoria il pubblico ministero aveva invocato la pena più alta: 16 anni di reclusione; 15 invece quelli richiesti per Di Meglio, Venezia e Vivolo. I quattro avvocati coinvolti erano invece Giancarlo Di Meglio, Fabio La Rotonda, Giorgio Pace e Stefano Zoff.
Agli atti c’erano intercettazioni e anche riprese video delle telecamere installate negli uffici che avrebbero documentato accordi e scambi di denaro tra cancellieri e avvocati coinvolti nell’organizzazione.
L’ordinanza riguardava poi nove dipendenti pubblici tra cancellieri, commessi e operatori giudiziari. Gli inquirenti avevano individuato un vero e proprio tariffario: millecinquecento euro per ogni intervento su un fascicolo processuale per ottenere rinvii; 15mila euro, invece, per un ritardo di trasmissione degli atti che consentisse di evitare la fissazione immediata dell’udienza. Ipotesi che ora, al termine di un complesso iter processuale, hanno ottenuto un primo riscontro giudiziario.
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