
È dura essere un’attrice della vita
di Giuseppe Amoroso
Sab 18 Marzo 2023 18:41
Bellissima, elegante, ricca e famosa moglie del presidente del Consiglio, Maria Cristina Palma, protagonista del romanzo “La vita intima” (Einaudi) di Niccolò Ammaniti, affascina tutti: inarrivabile, fin dall’apertura in cui un gruppo di anziani la fissa “neanche fossero di fronte a una contorsionista che s’infila dentro una valigia”. I dirompenti effetti di situazioni al limite, le iperboli distribuite nell’equilibrio di stupore e malizia, certi smalti coreografici tracciati con disegni d’estro e sapienza, ricorrenti considerazioni morali e sociopolitiche (pronte a trasmettere, lungo lo scivolo di un divertito sguardo dell’autore, anche punte di allucinata deformazione e, insieme, di corrosivo giudizio critico) concorrono a suscitare atmosfere elettriche. Si dipana, allora, un corteo di indimenticabili volti sfregiati dal malessere e in bilico sul nebuloso confine tra graffiato realismo e alterante potenziamento della caratura, spesso eccentrica e illusionistica, della pagina. Soprattutto quando è chiamata a esprimere un ritratto psicologico nella sua reattività manifesta e nell’invisibile forma di affanni segreti. Fa da sfondo una Roma che, “affetta da disturbo bipolare, riesce a essere la città più sgradevole e meravigliosa del mondo”. La sequenza del vivere, seducente e insidiosa, plateale e declinata da un calendario d’enigmi, scopre eventi come “anelli rotti di una catena arrugginita in fondo al mare”, risale con il suo bottino di inganni, e torna a guizzare tra folate di maschere beffarde in corsa verso la mistificante polvere di nuovi giorni in vetrina e lampi di lontane memorie del personaggio centrale. Dal tumulto dell’avventura sbocciano la giovane figlia Irene, il fratello Alessio, morto in un incidente subacqueo, e Nicola Sarti, un antico amore, che “attraversa la vita come fosse Disneyland”. E, continuando, Diana Brinzaglia, compagna di scuola, tra un gruppo di “gregarie”, gelosa, malevola, ma “voce critica” nei momenti aspri; il Bruco, un “essere infame, l’uomo che gira le viti del mondo”; Luciano, un semplice, dedito al suo “universo” di lavoro. Calato nei giorni della “nostra eroina”, ma sciolto dal costrittivo ruolo di narratore onnisciente, Ammaniti esplora i gangli più segreti dell’animo della donna, esaminando l’arduo legame con il marito Domenico Mascagni, le difficoltà incontrate per il suo essere giudicata straordinariamente felice, mentre, nel suo autentico fondo, è visitata dalle ricorrenze delle morti (“un righello che al posto dei centimetri ha i defunti”). Intanto, un compromettente video hard scaricato dal cellulare smantella (simile a un “meteorite in grado di spostare l’asse terrestre”) il bastione delle decorative apparenze, con il rischio di farne crollare il cerchio dorato. Sempre più pressante e implacabile nel sottolineare ellissi, silenzi, perplessità, timori e sconcertanti vicende di violenza, la scrittura trascorre dalle fitte descrizioni dell’asfissiante routine e dalle riflessioni intorno alla “staffetta senza fine” della labilità degli esseri umani alla chiamata in campo del “caro lettore”, con la promessa di lasciar “parlare solo le immagini, come in un film”. In un tormentato processo di interiorizzazione, stanca dell’ alto ruolo ufficiale, Maria Cristina decide di prendere in mano la grande proprietà terriera della famiglia, in Maremma, e di restituirla alla trascorsa, ben nota efficienza produttiva, mentre il video, sempre incombente, trasmette “l’audacia del fante in prima linea”. Ma in un “torpore astratto” che interessa giorni accidentati, svolte ironiche e dettagli di vita agreste, smarrimenti e derive, spiccano lo stilema romanzesco dell’agguato e le sollecitazioni di esterni riproposti con “variazioni infinitesimali” (come in un “abbraccio di protezione”), distraendo o alimentando la “regia occulta e glamour del super io freudiano” che “dirige” la donna . Si origina una catena di episodi allacciati da un ritmo narrativo di inusuale propagazione, con spaccati di natura e suspense. “Attrice della sua esistenza”, quasi in un delirio o in un “pianeta remoto e abbandonato”, la protagonista insegue la verità della propria rinascita e, sbaragliando ogni “strategia comunicativa”, tra “profonda disperazione e solitudine”, scivola in una condizione fuori dal tempo. Con i consueti, affilati indicatori linguistici, qui forgiati per dare avvio a un’epifanica pacificazione intima del personaggio, Ammaniti incanala il racconto verso le fasi di un imprevedibile epilogo, simbolicamente anticipato da una “luce tremolante di giorno, aggrappata all’orizzonte”. Decisa a difendere e manifestare l’autentica sua anima, Maria Cristina finisce per accogliere l’invito, insistentemente propostole per un’importante rete televisiva, da una notissima conduttrice che, per il suo abbigliamento, sembra il “paggio di un cartone animato”.
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